Il ministro dell’Istruzione e del merito, Giuseppe Valditara, pare avere un problema di numeri o per lo meno una certa propensione ottimistica nella loro lettura, come si evince dal suo libro recentemente pubblicato dal titolo La scuola dei talenti, che fa scalare all’Italia una decina di posizioni rispetto alla graduatoria ufficiale europea sugli stipendi dei professori.
A raccontarlo è la Flc Cgil che si è accorta di alcune interessanti incongruenze rispetto alla rivendicazione dell’operato del governo e del miglioramento delle retribuzioni degli insegnanti. Lo fa, scrivono, “truccando in maniera disinvolta” i dati del rapporto europeo Eurydice 2022, che è il principale riferimento per queste tematiche. Nel volume del ministro, a un certo punto, vengono infatti riportate in particolare due tabelle che cercano di far risaltare i progressi retributivi del personale docente italiano rispetto a quelli dei colleghi europei da quando è subentrato al dicastero. “Gli effetti sono ben evidenziati dal miglioramento nelle classifiche europee della retributiva dei docenti italiani (tabelle 8 e 9)”, si legge nel volume.
Ebbene. La prima di queste tabelle presenta una classifica delle posizioni retributive dei docenti a livello europeo che vedrebbe al primo posto l’Austria, i cui docenti a inizio carriera hanno una retribuzione di 34.240 in Pps (Purchasing Power Standing: unità monetaria convenzionale definita da Eurostat che permette di comparare efficacemente le diverse cifre considerando il differente costo della vita). Seguono altri cinque paesi fino a incontrare l’Italia “molto ben posizionata, addirittura al settimo posto con 24.810 (sempre in Pps)” spiega la Cgil.
Come non bastasse, nella tabella successiva Valditara mostra che, grazie all’ultimo incremento contrattuale e al taglio del cuneo fiscale del governo, la posizione retributiva dei docenti italiani avrebbe avuto un significativo balzo in avanti, passando dal settimo al quarto posto in classifica “superando addirittura Francia, Finlandia e Portogallo”. Certo, è indicato nella didascalia, però in questo caso il trucchetto è confrontare le retribuzioni del 2023 con quelle del 2022.
“Si confrontano tra loro dati non comparabili, quelli del 2023 per l’Italia con quelli del 2022 per il resto d’Europa – spiega la Flc Cgil – Senza, ovviamente, contemplare la possibilità che nel 2023 anche le retribuzioni dei docenti degli altri Paesi possano aver beneficiato di aumenti come quelle degli italiani, e magari anche superiori, per cui il conseguente posizionamento in graduatoria dell’Italia dopo il 2022 sarebbe tutto da verificare. Tra l’altro in Italia dal 2023 ad oggi le retribuzioni sono restate praticamente ferme in attesa del rinnovo contrattuale 2022/24, ma non così negli altri Paesi”.
Come rileva il sindacato, poi, il taglio del cuneo fiscale è una misura fiscale, e non contrattuale, che riguarda chi guadagna meno di 35mila euro l’anno lordi. “Soprattutto, non è strutturale: non sta scritto da nessuna parte che nei prossimi anni verrà confermato”. Ignorati i punti del rapporto che mostrano come tra il 2014 e il 2022 gli stipendi dei docenti, al netto dell’inflazione, siano aumentati in tutti i 39 paesi europei oggetto dell’indagine tranne che in nove, tra cui l’Italia “le cui retribuzioni si sono impoverite in questo periodo in una misura compresa tra il 7 e l’8%. Situazione che è destinata a peggiorare visto che il governo ha stanziato risorse per i rinnovi contrattuali 2022-2024 per incrementi pari al 5,78% a fronte di un’inflazione del 18”.
Dal ministero di Valditara, al contrario, si conferma la visione facendo riferimento ai dati Ocse-Talis che sono stati diffusi da Invalsi qualche giorno fa e da cui il ministro estrae la tabella peri il suo libro. Tabella che ovviamente specifica “alcuni paesi” ma che viene utilizzata per mostrare dei progressi comparativi che poi, andando alla fonte, non sembrano esserci. Una questione di metodo, altro che merito.