Nel primo pomeriggio di ieri è stata emessa la sentenza di primo grado di condanna all’ergastolo per Alessia Pifferi: i giudici di Milano l’hanno considerata colpevole di aver volontariamente cagionato la morte della figlioletta, la piccola Diana che all’epoca dei fatti aveva solo 18 mesi e morì di fame e di sete dopo essere stata abbandonata sola a casa nel torrido luglio di due anni fa. A nulla sono valsi i tentativi della difesa di dimostrare che la trentasettenne soffriva di gravi disturbi psichici fin dall’infanzia in quanto la documentazione fornita dall’avvocato Alessia Pontenani non è stata sufficiente a confutare la tesi che Alessia Pifferi abbia agito nel pieno possesso delle sue facoltà mentali quando decise di andare a trascorrere una settimana nella bergamasca a casa del suo compagno dell’epoca lasciando la piccola Diana in un lettino da campeggio insieme ad un solo biberon di latte e un paio di bottigliette di acqua e the.
Quello che l’accusa ha sempre messo in evidenza nel corso di questo processo è la lucida freddezza con cui Alessia Pifferi ha volutamente anteposto i propri interessi e il proprio divertimento al benessere e alla cura di una bambina che rappresentava solo un ostacolo al raggiungimento dei propri scopi. La Pifferi, che in questi quasi due anni di detenzione non ha mai mostrato alcun segno di pentimento o commozione, non si è mai fatta scrupoli di alcuna sorta a lasciare sola a casa la bimba quando doveva trascorrere serate piacevoli in compagnia dei suoi spasimanti, quando organizzava lussuose cene concordando fin nei minimi particolari con ristoratori e chauffeur menu, location e trasporto con tanto di limousine per far colpo su un corteggiatore o quando inventava scuse improbabili per non pagare l’autista che la accompagnava avanti e indietro da Leffe.
Al suo ultimo compagno in ordine di tempo, quello con cui trascorse quei maledetti sei giorni, gli ultimi giorni di vita della sua bambina, aveva persino raccontato, mentendo, che la figlia si trovava al mare con sua sorella. D’altronde la tendenza della Pifferi a inventare bugie e a manipolare fatti e persone per fornire una versione della realtà confacente solo ed esclusivamente ai propri interessi è sempre stata evidenziata dal pubblico ministero Francesco De Tommasi che ha ritenuto che la documentazione prodotta dall’avvocatessa Pontenani relativa alla storia scolastica dell’imputata e alla necessità di affiancarle un insegnante di sostegno non certifichi nessun ritardo mentale ma solo una grave difficoltà di apprendimento ovvero una situazione comune a diversi bambini.
Un altro elemento che probabilmente ha portato il tribunale di Milano alla decisione del fine pena mai per questa madre è stato il fatto che la Pifferi è stata considerata pienamente capace di intendere e volere dalla perizia super partes redatta dal dottor Elvezio Pirfo e che la condotta da prendere in esame sia stato il suo comportamento all’epoca in cui è stato commesso il fatto e non nei primi anni Novanta, periodo nel quale frequentava le scuole e manifestava quelli che, secondo l’avvocatessa Pontenani, erano gravi handicap e disturbi cognitivi.
La madre e la sorella dell’imputata che si sono costituite parte civile hanno sempre testimoniato l’assenza di qualsivoglia problema di carattere psichiatrico e hanno affermato di essere state a loro volta vittime dei suoi tentativi di mistificare la realtà e simulare situazioni inesistenti come quando la loro congiunta finse di voler organizzare il battesimo della piccola per raccogliere somme di denaro che poi utilizzò per i propri passatempi.
Per tutti questi motivi anche la Corte d’Assise ha deciso che, nonostante il materiale fornito dalla legale Pontenani, la perizia psichiatrica redatta dal dottor Pirfo non necessitava di alcuna integrazione. In definitiva questa terribile vicenda che ha sconvolto l’opinione pubblica dell’intero Paese ha avuto, almeno in primo grado, un esito che, per usare parole simili allo stesso pubblico ministero, ha rimesso al centro dei fatti l’unica vera vittima ovvero la piccola Diana, morta sola e abbandonata con la sua sofferenza e l’innocenza di una creatura che non aveva chiesto a nessuno di essere messa al mondo.