di Attilio Piattelli, presidente Coordinamento FREE

Stupisce leggere una “chiamata alle armi” contro eolico e fotovoltaico a terra, che sono le rinnovabili mature, da parte della Coalizione Articolo 9. Ovviamente tutte le opinioni hanno diritto di essere espresse senza alcuna censura e vanno rispettate ma se a supporto di opinioni, che si vogliono portare avanti, vengono dette palesi inesattezze allora la cosa non può essere tollerata.

Prima di entrare nel merito, partiamo da alcune considerazioni generali che meritano di essere ricordate.

Il cambiamento climatico non è un’invenzione degli “speculatori finanziari” (così vengono definiti gli operatori del settore delle rinnovabili nell’Appello), ma un fatto oggettivo ormai non più messo in discussione da nessuno, se non da chi ha interesse nel conservare il predominio delle fonti fossili.

Altro fatto indiscutibile è che per poter contrastare il cambiamento climatico è necessaria la decarbonizzazione della nostra società e quindi la eliminazione dei combustibili fossili. Senza decarbonizzazione non c’è contrasto ai cambiamenti climatici.

Per la sostituzione dei combustibili fossili ovviamente bisogna puntare soprattutto su tecnologie rinnovabili mature ed economiche che, per fortuna, oggi esistono e che al momento sono eolico e fotovoltaico.

In questo percorso di decarbonizzazione l’Italia deve fare la sua parte e, in base agli impegni ufficiali presi con l’Europa, dovrà installare circa 80 GW di nuovi impianti entro il 2030 (un dato correttamente riportato nell’Appello).

Quello che non si dice però nell’Appello è che il percorso di decarbonizzazione non si interrompe al 2030 ma, ovviamente, deve proseguire fino al 2050 e, entro tale data, serviranno certamente più di 300 GW di rinnovabili. Esistono già studi di enti istituzionali (RSE) che stimano in un minimo di 200 GW il solo contributo del fotovoltaico al 2050.

Se sappiamo di dover installare almeno 200 GW di fotovoltaico entro il 2050, scrivere nell’Appello che i “pannelli solari, come sostiene Ispra, possono e devono essere installati sui tetti dei tantissimi capannoni industriali” non equivale a descrivere correttamente la questione. Infatti, è certamente corretto che vadano privilegiati i tetti ma non dire che la stessa ISPRA, altro ente istituzionale, stima il potenziale italiano dei tetti idonei per l’installazione di impianti fotovoltaici in un valore compreso tra 66 e 86 GW (Rapporto 2021 Sistema Nazionale Prevenzione Ambientale) equivale a sottacere che, anche se usassimo tutti i tetti disponibili e idonei, non potremmo raggiungere i target di sviluppo previsti al 2050 e quindi, per poter procedere con la transizione energetica è necessario agire in parallelo sia sui tetti che a terra.

Quando nell’Appello si scrive che “le richieste di connessione di Fonti da Energia Rinnovabile pervenute ad oggi al gestore della rete elettrica nazionale, Terna, hanno raggiunto l’iperbolica cifra di 328 GW” a fronte di una necessità di 80 GW al 2030 si lascia intendere che tutte queste richieste si tradurranno in progetti approvati. Cosa assolutamente non vera perché tutti i grandi progetti a fonti rinnovabili devono seguire un percorso autorizzativo molto complesso che prevede il rilascio dell’autorizzazione solo dopo aver superato positivamente la Valutazione di Impatto Ambientale e, successivamente, aver ricevuto il benestare da più di trenta enti diversi competenti per specifiche autorizzazioni. E non si dice che, secondo i dati aggiornati all’ 1 aprile 2023, su 100 progetti eolici presentati, il ministero della Cultura ne ha approvati solo 16 e 84 li ha bocciati (dati MASE).

Nell’Appello si parla di “desertificazione dell’economia” mentre il World Energy Employment del 2023, redatto dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, ha potuto stimare che qualsiasi sia lo scenario di decarbonizzazione che si prende in considerazione, gli occupati totali del settore energetico sono destinati ad aumentare e non a diminuire e che il fotovoltaico è la fonte di energia che produce più occupazione in assoluto.

Si scrive che le rinnovabili non producono una riduzione delle bollette “perché più energia produciamo con pale e pannelli e più incentivi dobbiamo pagare”. Questa è un’affermazione totalmente falsa perché sono i combustibili fossili che, essendo importati dall’estero, possono essere soggetti a forti rialzi di prezzo dovuti a tensioni geopolitiche, con conseguente incremento delle bollette di famiglie e imprese. I ricordi dei prezzi impazziti di energia elettrica e gas nel 2022 sono ancora freschi e hanno portato, in un solo anno, a una spesa aggiuntiva per gli italiani di più di 100 miliardi di euro. Le rinnovabili invece, soprattutto se prodotte con impianti di medie e grandi dimensioni, producono prezzi stabili e bassi.

Si asserisce anche che le rinnovabili non porteranno sostanziali riduzioni della CO2 e si scrive che la riduzione “sale al 20% nel lungo termine”. È totalmente falso perché a lungo termine (2050) parliamo di totale decarbonizzazione della nostra società, per cui chiediamo da dove vengano questi dati privi di senso. Analogamente per il “rischio di blackout dell’intero sistema elettrico del Paese”, affermazione totalmente priva di fondamento e non supportata da alcuna evidenza scientifica. Disponiamo di una delle migliori reti di trasmissione al mondo che gestisce da due decenni fonti rinnovabili “intermittenti” come fotovoltaico ed eolico per oltre 1,5 milioni di impianti senza alcun blackout e le prospettive future grazie allo sviluppo della digitalizzazione e dei sistemi d’accumulo sono di un miglioramento costante dell’efficienza della rete.

Per ultimo, si legge che il nostro Paese sarebbe trasformato “in una landa desolata di pannelli fotovoltaici”. Anche questa è un’affermazione totalmente falsa perché se ragionassimo pensando già al 2050 e se per assurdo volessimo realizzare a terra tutti i 200 GW stimati da RSE, avremmo un’occupazione di suolo di massimo 300.000 ettari.

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