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Liguria, dopo l’arresto di Toti le opposizioni chiedono le dimissioni in Consiglio regionale: “Scoperchiato un sistema di potere malato”

Il leghista Alessandro Piana, finora vicepresidente e assessore all’Agricoltura, è il presidente ad interim della Regione Liguria. Lo ha ufficializzato il presidente del Consiglio regionale, Gianmarco Medusei, nella prima seduta dell’assemblea dopo l’arresto per corruzione del governatore Giovanni Toti, sospeso dalla carica in base alla legge Severino finché resterà ai domiciliari. “Assumo l’incarico con senso di grande responsabilità e nella consapevolezza di essere chiamato a svolgere un ruolo importante e cruciale”, ha detto Piana in un breve discorso, rivolgendo “un pensiero di vicinanza al presidente Toti” e dicendosi “convinto che abbia sempre agito per il bene della Liguria. L’attività della Regione proseguirà senza soluzione di continuità”, ha promesso il governatore pro tempore, rivendicando la “crescita record per il nostro pil nell’ultimo triennio e in diversi settori chiave per lo sviluppo del nostro Paese. Occorre proseguire con questo cambio di passo“, ha affermato. A margine dei lavori, parlando coi cronisti, ha allontanato l’ipotesi di elezioni anticipate: “Per rispetto in primis dei liguri, del presidente Toti e degli inquirenti, è giusto non dimettersi, anzi è giusto non scappare, per portare avanti tutto quello che c’è da fare. Noi ci prendiamo la responsabilità di portare avanti la Liguria, perché se in una situazione dove c’è già un certo stallo, anche l’organismo politico viene meno, lo stallo si raddoppia”.

Ma dalle opposizioni la richiesta di un passo indietro è unanime. Il primo a prendere la parola nel dibattito è Ferruccio Sansa, capogruppo dell’omonima lista e sfidante sconfitto di Toti alle Regionali del 2020: “Ora o mai più, perché questa legislatura è finita”, ha esordito. “Adesso sono tutti contro Toti, noi queste cose le dicevamo da anni. Mi dicevano “vai in Procura” e noi ci siamo andati, perché eravamo convinti ci fossero degli illeciti”, ha rivendicato. “Nei giorni scorsi”, ha proseguito, “ho provato quasi malinconia, pena, a vedere com’è stato scaricato il presidente Toti da alcuni. Non poteva che finire così, perché era sotto gli occhi di tutti. Non è caduto soltanto Toti, è crollato un sistema di potere che ha guidato la nostra Regione per tutti questi anni. La crisi è una grandissima occasione, ma bisogna che voltiamo tutti pagina, che tagliamo i legami con “gli Spinelli“, intesi non come persone ma come categoria politica”, ha concluso, riferendosi ad Aldo Spinelli, l’imprenditore portuale accusato di aver corrotto Toti.

Durissimo anche il capogruppo del Movimento 5 stelle Fabio Tosi: “In un Paese normale e civile, un presidente di Regione ai domiciliari si dimette. È innegabile: gli inquirenti hanno scoperchiato un sistema di potere malato. Un sistema che denunciamo da anni in tutte le sedi, ricevendo in cambio insulti. Volete aspettare dieci anni, che finisca il procedimento? C’è una questione morale, di dignità di ognuno di noi. Vi chiedo non un atto di coraggio ma di dignità, perché io in questa istituzione ho sempre creduto”. “L’unica strada possibile sono le dimissioni”, ribadisce il capogruppo Pd Luca Garibaldi. E Gianni Pastorino, del gruppo di sinistra Linea Condivisa, attacca: “Oggi quello che emerge è il fallimento di un’intera classe politica. Toti deve dimettersi per difendersi e per dare alla Regione la capacità di governo. Quello che abbiamo visto in quelle intercettazioni dimostra che quello che veniva discusso qui trovava poi composizione in altra sede. Ricordo l’imbarazzo di quest’aula quando chiesi conto delle aree date a Spinelli. Sarebbe dignitoso e onorevole che la facessimo finita con l’undicesima legislatura, non è dignitoso proseguire per noi che stiamo qua: si sta disonorando l’ente regione“.

In assemblea sono intervenuti anche Stefano Anzalone e Domenico Cianci, i due consiglieri della lista Toti indagati per corruzione elettorale con aggravante mafiosa (secondo l’accusa, hanno ottenuto voti delle cosche siciliane e calabresi in cambio di utilità e promesse). “Contrariamente ai processi in atto perpetrati da alcuni organi di informazione che, come già visto nel recente passato, emettono sentenze di condanna prima ancora che indagini e processi facciano il loro corso, ponendo in atto una gogna mediatica, mi affido all’operato della magistratura. Do la mia completa disponibilità a incontrare gli organi competenti confidando che possa emergere da subito la mia piena estraneità ai fatti contestati, ripristinando la mia onorabilità”, ha dichiarato Anzalone. Mentre Cianci dice di avere “piena fiducia nella giustizia: “Sono certo che tanta gente millanta, aspetterei la sentenza”, dice, riferendosi probabilmente all’imprenditore vicino alla ‘ndrangheta che, intercettato, lo descriveva come fornitore di lavori (“Tutto quello che voglio mi dà”). “Ho avuto una visita a casa da parte della Guardia di finanza, persone molto gentili e corrette. Hanno verbalizzato che nella mia abitazione non è stato trovato niente, si difende Cianci. C’è stato anche un momento di bagarre durante l’intervento del consigliere di Fratelli d’Italia Stefano Balleari: dal pubblico alcuni cittadini hanno urlato “buffoni, buffoni”, alzando cartelli con scritto “Toti dimettiti“.

Sul fronte giudiziario, intanto, il presidente della Regione si prepara al confronto con i pm, che si terrà la settimana prossima: martedì il suo legale, Stefano Savi, ha presentato l’istanza al sostituto procuratore Luca Monteverde, titolare dell’inchiesta insieme a Federico Manotti. “È informato e sta continuando a leggere gli atti. Prepara materiale utile per quando sarà sentito”, afferma l’avvocato a LaPresse. Dopo aver dato la propria versione, Toti farà istanza al gip per chiedere la revoca della misura cautelare: in caso di risposta negativa sarà valutato il ricorso al Tribunale del Riesame. Finché queste opzioni non saranno esaurite, la strategia difensiva non prevede dimissioni dalla carica. In Procura è stato aperto anche un fascicolo per rivelazione di segreto d’ufficio: dalle intercettazioni infatti emerge che molti degli indagati erano consapevoli della possibilità di essere ascoltati. Nell’ordinanza di custodia cautelare, in particolare, si cita un dialogo in cui Umberto Lo Grasso, consigliere comunale della lista Toti, diceva a uno dei fratelli Testa, rappresentanti della comunità riesina di Genova accusati di corruzione elettorale: “Vedi che stanno indagando, non fate nomi e non parlate al telefono”. “Si lo so, non ti preoccupare. L’ho ‘stutato (“spento” in dialetto siciliano, ndr)”, rispondeva l’altro. Per questo episodio Lo Grasso è accusato di favoreggiamento. Ma lo stesso Spinelli, in un altro passaggio, manifesta la stessa certezza alla compagna di Paolo Emilio Signorini, ex presidente dell’Autorità portuale in carcere per corruzione: “Sappiamo che c’abbiamo i telefoni sotto controllo… quindi basta dirsi poco e niente… io a lui gli dico ci vediamo a colazione… tutto lì!”.