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“Per favore, non sparate a mio figlio!”. Agenti della polizia sparano a un 19enne con problemi di salute mentale. I genitori chiedono un processo

Sdraiata sul pavimento, la madre ha cercato di fermare con la mano l'azione degli agenti

“Per favore, non sparate a mio figlio!”, ha implorato Notan Eva Costa, un’immigrata del Bangladesh di 48 anni che vive nel Queens, ai due agenti di polizia di New York che sono entrati in casa sua dopo che proprio il figlio 19enne Win Rozario ha chiamato per richiedere assistenza sanitaria.

Sdraiata sul pavimento, la madre ha cercato di fermare con la mano l’azione degli agenti. Ma era troppo tardi perché appena hanno fatto irruzione i poliziotti hanno sparato almeno quattro volte a povero Win, ferendolo mortalmente. “Hanno ucciso mio figlio in pochi minuti – ha detto la Costa . Prima del loro arrivo, tutto era calmo. Poi sono arrivati, hanno creato il caos e lo hanno ucciso davanti ai miei occhi”, come ha riferito la CNN.

Nelle settimane successive alla morte di Rozario, la sparatoria ha attirato l’attenzione dei membri delle associazioni della giustizia sociale e della salute mentale, in particolare dopo che l’ufficio del procuratore generale dello stato ha fatto vedere i filmati delle telecamere indossate dai due agenti.

In molti hanno evidenziato come l’uso della forza da parte della polizia non fosse necessario e che questa azione riflette un modello di violenza contro le persone con malattie mentali. In un comunicato stampa, la polizia di New York ha affermato che sta “collaborando pienamente” con le indagini e si è aperta anche un procedimento interno, aggiungendo: “Cerchiamo continuamente di migliorare il modo in cui rispondiamo alle richieste di assistenza e riconosciamo che c’è molto lavoro da fare. I newyorkesi non si aspettano e non meritano niente di meno”.

I due agenti sono ancora in servizio, ma non portano più le armi. La famiglia di Rozario ha chiesto che gli agenti vengano licenziati e processati. Inoltre i due genitori chiedono che la città di New York cambi radicalmente il suo approccio nel rispondere alle persone che chiamano per un intervento.

La proposta è quella di evitare di inviare agenti di polizia armati a rispondere a ogni chiamata ai servizi di emergenza, ma i soccorritori qualificati nel campo della salute mentale. Professionisti che possono rispondere alle persone in crisi, aiutando a mitigare le situazioni di tensione e mettendo in contatto i pazienti con l’assistenza sanitaria.