Mentre il leader della Lega Matteo Salvini da Taranto assicura che “la gestione del Pnrr per il mio ministero è perfettamente in linea” e mette le mani avanti sulla diga foranea di Genova (“Spero che nessuno abbia intenzione di bloccare i cantieri, e mi riferisco alle inchieste in corso in altre città italiane”), la Corte dei Conti nella sua Relazione semestrale sull’attuazione del piano conferma che trasporti e infrastrutture sono uno dei tasti più dolenti. La realizzazione concreta degli investimenti, misurata osservando lo stato di avanzamento verso i target finali previsti dal cronoprogramma concordato con la Ue, stando a dati aggiornati a marzo si ferma ancora a zero per indicatori come i chilometri di linee ferroviarie migliorati e le stazioni riqualificate. Il tasso medio di realizzazione è del 17% per le infrastrutture e dell’8% nei trasporti, contro una media del 37% per le 51 misure e sottomisure analizzate dalla magistratura contabile. Male, comunque, anche l’accesso a internet ad altissima capacità, la produzione di batterie al litio, la migrazione delle amministrazioni sul cloud nazionale, la digitalizzazione del patrimonio culturale, lo sviluppo delle case di comunità.

Premessa: il report delle Sezioni riunite in sede di controllo arriva in una fase delicatissima. In commissione alla Camera è iniziata la discussione della proposta di legge di FdI che punta a circoscrivere ulteriormente la responsabilità erariale e attribuire alla Corte un controllo preventivo di legittimità sulle aggiudicazioni limitando i controlli successivi. Pochi giorni fa il consiglio di presidenza ha ribadito, in una risoluzione, la richiesta di poter “contribuire al dibattito” sulla riforma con l’obiettivo di assicurare “la tempestiva, legittima ed efficace attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”. Fatto sta che la relazione appare, in superficie, meno acuminata rispetto a quelle che in passato avevano fatto infuriare il ministro Raffaele Fitto. Dà atto del raggiungimento di tutti gli obiettivi europei di fine 2023 e degli “elevati risultati di avanzamento di quelli con rilevanza nazionale (84%)” e del fatto che nel primo semestre 2024 si veleggia “in linea con la programmazione“, perché sono solo due le scadenze ancora da conseguire che le amministrazioni titolari valutano molto complesse. Anche se, quando si è chiusa l’istruttoria per la relazione, solo il 16,2% delle milestone e target risultava già completato Guardando agli obiettivi dei prossimi anni, sono state segnalate particolari difficoltà attuative solo per il 7% delle misure da completare, 15 investimenti.

Ma continua a farsi sentire l’affanno nella effettiva messa a terra delle risorse, che ha fatto sì che la spesa sostenuta a fine 2023 si sia fermata (post revisione del Piano) a poco meno di 43 miliardi sugli oltre 101 ricevuti. Un esempio è proprio quello delle infrastrutture, anche se la Corte precisa che il basso tasso di realizzazione in quel campo “è coerente con la maggiore complessità degli interventi, che richiedono fasi preparatorie e attuative più lunghe, come peraltro atteso nel Pnrr che ad essi associa target finali quasi integralmente collocati nell’ultima annualità o nella seconda parte del 2025″. In più va considerato che diverse di quelle misure sono state oggetto di modifiche in sede di revisione del Piano proprio per correggere il tiro rispetto alle previsioni iniziali.

Attenuanti che non spostano lo stato dei fatti. Analizzando i flussi finanziari del Pnrr la Corte ha trovato che, a fronte dei 141 miliardi affluiti nei due conti correnti per l’attuazione del Next generation Eu aperti presso la Tesoreria centrale dello Stato, solo 17,2 miliardi sono stati trasferiti alle amministrazioni centrali responsabili dei progetti o ad altre tipologie di attuatori. Di conseguenza “in oltre il 40% dei casi gli attuatori sono stati chiamati a fare ricorso a proprie disponibilità per assicurare l’avanzamento della spesa”. Ma un altro dato aiuta a capire come dietro i rubinetti chiusi ci siano anche le debolezze degli enti locali. La relazione ha passato al setaccio le 166 iniziative di investimento e riforma che hanno ricevuto pagamenti dai conti di tesoreria per capire se i soggetti attuatori abbiano dovuto finanziare le spese con fondi propri, come lamentato dai Comuni fino al varo dell’ultimo decreto Pnrr che alza in via strutturale al 30% gli anticipi. Il risultato è che nella maggior parte dei casi – più di metà delle misure censite – il tasso di attuazione della spesa è bassissimo, 3% in media, nonostante siano arrivate risorse “molto superiori al cronoprogramma di spesa”.

L’ostacolo non è stato quindi legato alla liquidità: “Il tasso ridotto di attuazione finanziaria”, ragiona la Corte, “può essere dovuto o ad una concentrazione della spesa nella seconda parte del Piano ovvero a problematiche attuative di altro genere (quali quelle legate alle procedure amministrative)”. Le carenze amministrative, in particolare dei Comuni, sono un nodo ben noto al governo che un anno fa le aveva esaminate nel dettaglio in una versione preliminare della relazione sullo stato di attuazione del piano, salvo espungere quelle parti dal testo finale su richiesta dell’Anci. Il decreto Pnrr varato il mese scorso cerca di correre ai ripari rafforzando ulteriormente i poteri sostitutivi dello Stato. Che potrà nominare un commissario autorizzato fin da subito ad adottare ordinanze “in deroga alla legislazione in materia di tutela della salute, della sicurezza e dell’incolumità pubblica, dell’ambiente e del patrimonio culturale“. Tutto pur di evitare il flop.

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Il Pnrr della scuola? Finora speso solo il 17% delle risorse. “Dati preoccupanti per il futuro”

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