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Tunisia, giornalisti e avvocati arrestati per una battuta in tv. Solidarietà dei colleghi italiani che chiedono l’intervento di Meloni

Nella serata di ieri, lunedì 13 maggio, la polizia ha fatto irruzione nella sede dell’Ordine degli avvocati a Tunisi e arrestato l’avvocato Mehdi Zaghrouba, noto per le posizioni critiche nei confronti del presidente tunisino Kais Saied. Tra le urla dei colleghi, vetri rotti e sedie ribaltate, il legale è stato portato via senza chiarimenti sulle motivazioni dell’arresto. Contro Zaghrouba e un altro collega, Nidhal Salhi, sarebbe stata avviata un’indagine e il ministero dell’Interno ha poi dichiarato in un comunicato che i due “hanno deliberatamente aggredito fisicamente e verbalmente due agenti di sicurezza della polizia giudiziaria”. Per la sede dell’Ordine è la seconda irruzione in 48 ore, dopo che nella serata di sabato agenti in borghese, armati e a volto coperto, avevano arrestato l’avvocata Sonia Dahmani, accusata di “uso di reti di comunicazione per diffondere informazioni false con l’obiettivo di mettere in pericolo la pubblica sicurezza” e di “incitamento all’odio”, secondo il discusso decreto legge 54, il cosiddetto “anti fake news”, introdotto da Saied. L’irruzione di sabato è stata ripresa da un operatore di France24, in diretta in quel momento, poi aggredito e arrestato dalla polizia tunisina. “Quello che è successo alla nostra sede è inaccettabile. Non abbiamo mai detto di essere contro lo Stato. Al contrario, sosteniamo uno Stato che rispetti la legge e le sue istituzioni e chiediamo una giustizia equa e indipendente. Nessuno è al di sopra della legge, naturalmente, ma nessuno è nemmeno al di sotto della legge”, ha detto oggi in conferenza stampa a Tunisi il presidente dell’Ordine degli avvocati tunisini, Hatem Mziou, che per quanto accaduto ha fatto appello direttamente al presidente della Repubblica Saied. “Difenderemo i nostri colleghi e tutti i giornalisti e sindacalisti che hanno diritto a un processo equo e al diritto alla difesa”, ha concluso.

Intanto, dopo l’arresto di Zaghrouba è arrivata anche la notizia del rinvio a giudizio di Dahmani. Martedì 7 maggio, nel corso di una trasmissione sulla tv Carthage plus, la legale aveva risposto a chi difendeva l’operato del governo tunisino, capace di difendere il Paese dai tanti immigrati africani che avrebbero l’ambizione di trasferirsi in Tunisia più che di imbarcarsi per l’Europa. “Ma di quale Paese straordinario stiamo parlando?“, è stata la risposta sarcastica di Dahmani, evidentemente riferita alla profonda crisi sociale ed economica che attraversa il Paese. Tanto è bastato perché, in base alla nuova legge, ricevesse una convocazione per comparire il venerdì successivo davanti al giudice istruttore al tribunale di Tunisi. Convocazione alla quale non ha risposto perché priva di motivazioni. “Mi rifiuto di comparire in tribunale senza conoscere le ragioni di questa convocazione”, aveva spiegato alla stampa Dahmani, nel frattempo rifugiatasi presso la sede dell’Ordine dove, a causa della mancata comparizione, è stata arrestata su mandato del giudice. La procura ha inoltre disposto il fermo giudiziario del conduttore radiofonico Borhene Bssais e del giornalista Mourad Zeghidi, dopo un’interrogatorio di diverse ore. Secondo i loro legali, anche questo provvedimento è legato alle analisi politiche e sociali fatte negli ultimi mesi sull’emittente Radio Ifm. Per il sindacato tunisino dei giornalisti Snjt, nell’ultimo anno e mezzo, più di 60 persone, tra cui giornalisti, avvocati e oppositori del presidente Saied, sono state perseguite sulla base del decreto legge 54, che punisce con la reclusione fino a cinque anni chiunque utilizzi reti di informazione e comunicazione per “scrivere, produrre, trasmettere o diffondere notizie false con lo scopo di violare i diritti altrui o di nuocere alla sicurezza pubblica”. “Una spada di Damocle sulla testa dei giornalisti e un mezzo per punire qualsiasi voce libera dei media”, l’ha definita il sindacato dei giornalisti schierandosi con gli arrestati.

L’arresto di Dahmani ha spinto gli avvocati tunisini a un giorno di sciopero in tutto il Paese, chiedendo il rilascio immediato della collega. A sostegno di Dahmani anche l’Associazione dei magistrati tunisini (Amt), che ha criticato l’irruzione nei locali dell’Ordine nazionale degli avvocati e il suo arresto che sarebbe avvenuto con dure modalità da parte della polizia, qualificandolo una violazione e un “precedente pericoloso”. Secondo l’associazione si tratta di un attacco alla professione di avvocato e al suo ruolo nella difesa dei diritti e delle libertà e delle garanzie di un giusto processo. Dopo i fatti di sabato, l’Ordine degli avvocati di Tunisi aveva spiegato che “non ha ricevuto alcuna comunicazione o notifica relativa alla presenza di un indagato o di un avvocato ricercato e non è stato nemmeno informato dell’emissione del mandato di arresto”. Le immagini della diretta di France24 continuano a rimbalzare sui social e hanno scatenato la solidarietà anche dall’estero. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano e la Camera Penale milanese con una nota congiunta hanno invitato le “istituzioni a valutare ogni più opportuna azione finalizzata alla tutela ed all’incolumità della persona dell’avvocato Sonia Dahmani”. Una dura condanna è arrivata anche dal Consiglio nazionale forense e dall’Organismo congressuale forense italiani. Quest’ultimo ha chiesto in una nota “che il governo italiano si attivi immediatamente per il rilascio di Dahmani e pretenda dai propri partner internazionali garanzie in ordine di rispetto dei diritti fondamentali sanciti nei trattati internazionali, esprimendo fortissima preoccupazione in ordine a tutti gli accordi bilaterali con Paesi i cui governi non rispettino i diritti umani e le fondamenta dello Stato di diritto, quali l’indipendenza dell’avvocatura e la libertà di stampa”.

Saldamente nella lista italiana dei “paesi d’origine sicuri”, l’elenco appena aggiornato che incide sul diritto d’asilo in Italia, è il partner col quale l’anno scorso la Commissione europea ha stretto un accordo economico che riguarda anche l’immigrazione e fortemente voluto dall’Italia. Il governo di Giorgia Meloni e in particolare il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi rivendicano come un successo di quell’accordo le partenze dei barconi sventate dalla polizia tunisina, anche grazie ai mezzi forniti direttamente dall’Italia. La premier è tornata a Tunisi a metà aprile per rinnovare i rispettivi impegni, ma della repressione nei confronti degli oppositori non si parla. Come dei metodi utilizzati dalla polizia per evacuare i migranti subsahariani, soprattutto dalla zona di Sfax, verso le aree di confine alle frontiere con Libia e Algeria, comprese donne e bambini. Lo stesso Saied ha recentemente rivendicato un’operazione che ha visto 400 persone abbandonate al confine libico. Fine che tocca anche a chi è in possesso del documento di registrazione rilasciato dall’UNHCR che comporta, almeno in teoria, la titolarità di alcuni diritti a partire dall’esame individuale della domanda d’asilo e da quello di fare ricorso. Tra i deportati anche molti sudanesi in fuga dal conflitto nel loro Paese, portati al confine e arrestati quando tentano di tornare indietro. Le deportazioni collettive violano il diritto internazionale e tuttavia sembrano intensificarsi da quando Saied, a inizio 2023, ha lanciato la sua propaganda contro quello che ha definito un tentativo di “sostituzione etnica”, scatenando una vera e propria caccia al nero denunciata anche dagli organismi internazionali. Nel suo ultimo rapporto, Amnesty International denuncia un drastico peggioramento dei diritti umani dall’insediamento di Saied. Tra le principali violazioni, la repressione del dissenso politico, gli attacchi alla libertà di espressione, all’indipendenza della magistratura e al giusto processo, con decine di giudici sostituiti con magistrati fedeli al governo e decine di oppositori che restano in carcere grazie all’ennesimo prolungamento della loro custodia cautelare.