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Ucraina, l’intelligence lancia l’allarme sul crollo dell’esercito. L’Occidente al bivio: rilanciare o convincere Zelensky a trattare?

Le parole del capo dell’intelligence ucraina, Kyrylo Budanov, al New York Times non trasmettono solo preoccupazione, ma qualcosa di peggiore per le sorti del conflitto ucraino: rassegnazione. Volodymyr Zelensky sembra rimasto ormai tra i pochi, e anche lui con molta meno decisione rispetto a un anno fa, a parlare dell’invio di forniture militari a Kiev come della soluzione per respingere l’esercito di Mosca. “Siamo sull’orlo del baratro“, ha detto invece Budanov mentre le truppe di Vladimir Putin premono lungo tutto il fronte, sfondando nella zona di Avdiivka e conquistando quotidianamente chilometri e villaggi intorno a Kharkiv, la seconda città del Paese. Così tornano alla mente le parole pronunciate a inizio maggio dal vice capo dell’intelligence militare ucraina, Vadym Skibitsky, che all’Economist disse che il governo doveva iniziare a pensare a intavolare delle trattative con la Federazione.

Zelensky chiede, Blinken promette. Ma le armi non bastano
Le truppe russe avanzano e mentre conquistano villaggi all’estremo nord del Donbass riescono anche a bersagliare Kharkiv, facendo schizzare il livello d’allerta nella seconda città più grande del Paese. Così Zelensky, incontrando il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, torna a chiedere armi, in particolare i “sistemi Patriot per la protezione delle nostre città e comunità, come Kharkiv e Kharkiv Oblast”. Il membro dell’amministrazione americana promette che gli Stati Uniti sosterranno l’Ucraina finché la sicurezza del Paese non sarà “garantita”: “Siamo con voi oggi. E resteremo al vostro fianco finché la sicurezza, la sovranità e la capacità dell’Ucraina di scegliere la propria strada non saranno garantite”.

Resta da vedere se questo sostegno promesso rispetterà le tempistiche: l’ultimo pacchetto di aiuti che ha ricevuto l’ok di Washington è rimasto in standby al Congresso per mesi a causa dell’ostruzionismo repubblicano che invoca la fine, o comunque la drastica diminuzione, dell’invio di sistemi militari a Kiev. Inoltre, i munizionamenti sono sempre più difficili da reperire, sia negli Stati Uniti che in Europa, con diversi Paesi che hanno dato fondo alle proprie scorte nonostante Kiev spari circa 5-6 volte meno rispetto ai militari di Mosca. Anche l’imminente invio dei caccia F-16, secondo diversi esperti, non sarà affatto risolutivo, sia per la fase del conflitto in cui ci troviamo sia per il numero di mezzi che verrà messo a disposizione di Kiev.

Ciò che però i vertici politici non dicono, a differenza di quelli militari e dell’intelligence, è che le armi, da sole, potrebbero non bastare. All’esercito ucraino mancano innanzitutto uomini. La sproporzione rispetto alle disponibilità russe è ormai incolmabile: Mosca riesce a impiegare sul campo oltre 500mila uomini, ma si parla di un piano per mobilitarne altri 300mila entro il 1 giugno, e riesce a garantire una turnazione che, invece, è praticamente inesistente tra le truppe ucraine, ormai allo stremo dopo oltre due anni di guerra, col morale basso e già impiegate sul campo. In totale, secondo i dati 2023 di Global Firepower, l’esercito ucraino conta circa 500mila militari, di cui 200mila in servizio attivo. La Russia ha il quadruplo del personale militare attivo, 1.330.900 uomini, e 250mila riservisti.

L’occidente deve scegliere se rilanciare o sedersi al tavolo
Vista la situazione, nel caso in cui l’offensiva russa fosse in grado di andare avanti per tutta l’estate, gli alleati di Zelensky dovranno prendere una decisione: convincere Kiev a intavolare una seria trattativa con Mosca, sempre che per Putin questa sia al momento una strada praticabile, o rilanciare. La seconda opzione si avvicinerebbe alla posizione del presidente francese Emmanuel Macron che, in più di un’occasione, ha detto di non poter escludere l’invio di truppe europee in territorio ucraino in caso di sfondamento russo. Una svolta che rischierebbe però di trasformare la guerra ucraina in un conflitto mondiale tra potenze nucleari. L’alternativa, al momento, sembra essere quella della diplomazia.

Anche Zelensky pensa al dialogo?
A un possibile dialogo con Putin sembrano pensare sempre più persone nei palazzi di Kiev. Non avviene lo stesso, almeno stando alle dichiarazioni ufficiali, nelle cancellerie europee e a Washington. La maggior parte delle famiglie politiche a Bruxelles prevede, nel suo programma elettorale, il sostegno duraturo alla causa ucraina, mentre Biden non può permettersi di mollare il suo alleato a pochi mesi dalle elezioni, dopo aver fatto enormi pressioni sul Congresso affinché gli aiuti non venissero meno. Ma le sue promesse e quelle di Blinken potrebbero avere vita breve. Le cose cambierebbero se alla Casa Bianca tornasse Donald Trump che su questo dossier lascerebbe sola e in grande difficoltà l’Europa. Ma in questo momento, per come si sta evolvendo la situazione sul campo, l’orizzonte temporale di novembre sembra lontanissimo.

Così, chissà se anche dai più stretti alleati non siano arrivate pressioni sull’Ucraina per l’attivazione di un vero canale diplomatico con Mosca. È con questo dubbio che si può guardare anche al viaggio a sorpresa che la first lady, Olena Zelenska, ha avuto con il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, a Belgrado. Il motivo ufficiale della trasferta è l’incontro con la moglie del presidente serbo, Aleksandar Vucic, per rispondere all’offerta di fondi dello Stato balcanico per l’assistenza umanitaria, anche psicologica, alle popolazioni dei Paesi in guerra. Ma la meta e le tempistiche lasciano pensare che si sia parlato anche di altro e che a Belgrado possa essersi aperto un canale di comunicazione mediata tra Mosca e Kiev. La Serbia, nonostante alcune frizioni registrate negli ultimi mesi, è uno dei più stretti alleati internazionali della Russia e proprio nei giorni scorsi Vucic ha ricevuto la visita del presidente cinese Xi Jinping, durante il suo viaggio in Europa che ha toccato anche la Francia e l’Ungheria, leader del più importante Paese che sta sostenendo economicamente lo sforzo bellico russo.

Non è possibile sapere se l’incontro di Belgrado finirà nei libri di storia per essere stato l’inizio della distensione, la visita che ha convinto Zelensky e i suoi alleati ad ascoltare gli appelli dei militari e dell’intelligence e, quindi, avviare colloqui con Mosca. “Maggio sarà un mese complicato“, aveva previsto Skibitsky. Se Kiev e gli alleati non riusciranno né ad avviare i colloqui né a invertire il trend del conflitto, però, il rischio è che Putin riesca davvero a raggiungere gli obiettivi dichiarati il 24 febbraio 2022: annettere tutti i territori a est del fiume Dnepr.

Twitter: @GianniRosini