Salute

Chi come me ha disturbi mentali non ha voce: uniamoci agli psichiatri contro i tagli alla sanità

Gli psichiatri che si rivolgono alle istituzioni affinché i tagli alla sanità pubblica siano revocati sono sempre di più. C’è il serio rischio di ripiombare in situazioni manicomiali e questo però pare interessare poco all’opinione pubblica.

In questa battaglia gli psichiatri sembrano sempre più soli. Molta gente spinge piuttosto affinché si realizzi un maggiore controllo sociale. Le persone coinvolte, invece, perché affette da malattie mentali, sono massacrate da stigma e demonizzazione. Ciò vuol dire che si vergognano ad esprimersi e se non si raccontano non possono realizzare unità di intenti e rivendicazioni, non possono mai diventare un soggetto politico. I malati mentali non hanno voce.

Sono una di loro, depressa e con disturbi alimentari, ho ancora la fortuna di poter trovare persone competenti in un centro di salute mentale e presso il reparto di psichiatria dell’ospedale di quartiere. Vedo le difficoltà del personale sanitario. Pur mancando di diverse unità cercano di elargire professionalità e competenza. Nel reparto sono molte le persone a cui medici e infermieri salvano la vita. Ti aiutano a sentire il sangue che torna a scorrere, carezzano e lavano i corpi di persone indifese, restituiscono loro speranza e nuovi obiettivi. Studiano con te nuovi dosaggi dei farmaci, svelano approcci multidisciplinari con rieducazione motoria, alimentare, con recupero sociale e reinserimento lavorativo. Ti tengono sveglia di giorno per donarti un buon sonno la notte.

Da testimone posso osservare i loro molteplici sforzi. Se il personale non è sufficiente però sono obbligati a usare la contenzione sui pazienti che altrimenti andrebbero in giro a spaventare gli altri. Pur essendo in pochi devono monitorare le persone con ideazioni suicidarie. Devono risvegliare in loro l’istinto primario di sopravvivenza. Devono impartire lezioni per insegnare ai pazienti a trovare uno scopo.

Tutto ciò non è semplice e non è affatto apprezzato. Se i pazienti non si vergognassero tanto per la propria condizione e non fossero considerati senza voce potrebbero parlare per se stessi, per i benefici che hanno tratto dalle terapie, per tutto ciò che per loro significa ottenere disponibilità da una sanità pubblica. Pensate a cosa succederebbe se reparti e centri di salute mentale fossero chiusi per assenza di personale. Pensate a quale futuro spetterebbe alla gente come me. Torneremmo ai manicomi e a dover pesare esclusivamente sulle famiglie, che ovviamente ci affiderebbero a chi potrà controllarci e rinchiuderci.

Gli psichiatri ci avvisano da tempo di queste possibili conseguenze, ma le istituzioni sembrano non farci caso, sembrano non interessarsi affatto né alle parole di psichiatri né al destino dei pazienti. Se immaginassi una distopia prospetterei tempi di una sterminatrice eugenetica nazista e di futuri per fascistissimi corpi sani in menti sane. Tutto ciò che appare imperfetto potrebbe essere semplicemente eliminato.

Dato che non è una distopia si prefigura una realtà fatta di ospedali privati e spese sanitarie non più sostenibili da pazienti sempre più poveri e malamente assistiti dalle istituzioni. Si potrebbe osservare un tempo di scontri non solo tra sani e malati ma tra ricchi e poveri, tra chi può ottenere diritto alle cure e chi no.

Smantellare la psichiatria pubblica è uno dei primi passi. Dei cosiddetti “pazzi” a nessuno importa. Non hanno voce. Eppure pensiamo e parliamo. Solo che nessuno ci ascolta. Fossimo in grado di uscire dal nostro isolamento sociale potremmo manifestare in pubblico per rivendicare i nostri diritti e affiancare gli instancabili psichiatri che tentano di sostenerci. Può bastare dire che abbiamo voce e il futuro che è destinato a noi non ci piace?

Diamoci una mano. Raccontiamo perché non vogliamo che la sanità pubblica sia distrutta. Combattiamo per il nostro diritto ad una vita di qualità. Assieme agli psichiatri e a chiunque ci ascolti.