Il governo Meloni fa cassa con le privatizzazioni. Questa volta tocca a un gioiellino nelle mani del ministero dell’Economia. Come preannunciato negli scorsi mesi, il dicastero guidato da Giancarlo Giorgetti cede, ancora una volta con una procedura accelerata di raccolta ordini, una quota del 2,8% del gruppo e scende così sotto il 2 per cento del capitale dall’attuale 4,79%. Un’operazione che ha portato nelle tasche dello Stato circa 1,4 miliardi di euro con le azioni vendute a 14,85 euro ciascuna con uno sconto dell’1,7% rispetto al prezzo di chiusura del titolo alla Borsa di Milano. Il controllo pubblico sul cane a sei zampe resta tuttavia assicurato dalla partecipazione di Cassa Depositi e Prestiti – la cui maggioranza fa capo allo stesso Mef con una quota di minoranza delle fondazioni bancarie – che detiene il 28,503%.
Voci di una cessione della partecipazione erano circolate già lo scorso gennaio anche se l’esecutivo, per voce del sottosegretario all’Economia Federico Freni, aveva ricordato come “non c’è nessuna fretta di privatizzare ma che si privatizzerà bene, nei tempi giusti, nei momenti giusti” rispettando comunque l’obiettivo del Def di autunno 2023 che prevede, per i prossimi tre anni, cessioni pari all’1% del Pil. Un valore che, come ricordava l’osservatorio Cpi, corrisponde a circa 20 miliardi di euro. La decisione di cedere ora coglie anche il recupero del listino milanese e della stessa azione Eni che è tornata proprio attorno ai livelli di gennaio scorso (15,11 euro).
Per il Tesoro quindi si tratta di un ulteriore passo nel cammino delle privatizzazioni. La vendita della quota del 37,5% di Mps in due tranche ha fruttato alle casse del Tesoro oltre 1,5 miliardi di euro aprendo poi l’interrogativo su cosa fare della restante quota del 26% e, in definitiva, della banca senese: mantenersi come azionista della banca, cedere tutto sul mercato o agevolare una fusione con un altro gruppo per dare vita a un terzo polo bancario dopo Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Per tornare alle privatizzazioni, il carniere delle società pubbliche o con rilevanti quote pubbliche, oltre a Eni e alla banca senese che potrebbero essere privatizzate anche solo in parte è nutrito: Enav, Enel, Poste, Leonardo cui si aggiungono quelle detenute da Cdp (fra cui Italgas, Terna, Snam e Fincantieri). Operazioni che però devono fare i conti con la volontà politica e considerazioni sulla strategicità della partecipazione.