Politica

Non buttiamo via la Liguria insieme con l’acqua sporca

Nelle mirabolanti intercettazioni pubblicate sul caso Liguria, sempre sospese fra il Mercante di Venezia e i cinepanettoni con Massimo Boldi, a un certo punto un altissimo funzionario cerca di spiegare al Presidente della Regione quanto già a un lombardo, ma lui è ligure, potrebbe apparire incomprensibile: come ragiona “o sciu Aldo” Spinelli, e forse altri imprenditori del territorio. “Sai, Gio – dice l’altissimo funzionario – [questi] fanno un ragionamento diverso. Loro si impropriano delle cose, […] sanno che non si potrebbe e lo fanno!”. Spero che “impropriano”, mai sentito prima, non sia un refuso, perché rende perfettamente di cosa si sta parlando: la mentalità acquisitiva, chiamiamola così, tipica del territorio.

Ora, non vorrei giocarmi il lettore indignato con una citazione troppo “alta”, ma avete presenti le famose pagine dell’Etica protestante e lo spirito del capitalismo dedicate da Max Weber all’ascesi intramondana? Prima che vi chiediate “coss’u l’è?”, e passiate direttamente alle notizie sportive, vi dirò solo questo. Per Weber non è un caso che il capitalismo si sia sviluppato a partire dai paesi protestanti: in realtà, i primi capitalisti cercavano di mostrare, con la loro ricchezza, di godere della grazia divina. Certo, anche Spinelli, mentre propone di anticipare lui certe spese, dice: “non c’ho problema, ringraziando Iddio”. Ma, con tutto il rispetto, qui siamo distanti dall’ascesi intramondana, e molto più prossimi all’arraffa-arraffa.

Insomma, la mentalità tradizionale ligure, presto assorbita anche dal “foresto” Spinelli, è pre-capitalista: un po’ come l’antica corporazione dei camalli. Una mentalità neppure cattolica, però: come le Partecipazioni statali, già surrogato ligure della Divina Provvidenza. Direi piuttosto, senz’offesa per i pagani, mentalità pagana: dove altri parlerebbero d’impresa e libera concorrenza, cioè, noi liguri ci siamo fermati molto prima, all’appropriazione originaria, allo scambio e al baratto. Curioso monumento questo, più antico del Medioevo, che anzi potrebbe apportarci, insieme con i turisti, frotte di antropologi della domenica: se non presentasse una bella controindicazione.

Come si è chiesto sempre un altro imprenditore ligure, Antonio Gozzi, quando mai ci ricapiterà questa pioggia di miliardi europei, capitataci fra capo e collo tra il Ponte Morandi e la pandemia? Quando mai avremo un’occasione simile per finanziare opere non di fantasia, come il rigassificatore, ma urgenti, quali infrastrutture ferroviarie, autostradali, aeree, portuali? Sì, anche la mitica Diga: senza la quale, al di là del nome, le grandi navi finiranno per scegliersi altri porti. C’è il concreto pericolo, insomma, che dopo il terremoto giudiziario si blocchi tutto: quale imprenditore, specie ligure, vorrà mai correre più il suo bel rischio d’impresa.

Le teste pensanti della destra-destra sembrano averlo capito: a partire dal(la) Presidente(ssa) Meloni, convertitasi inopinatamente pure lei, a differenza dell’ineffabile Salvini, alla lotta alla corruzione anti-europea.

Ecco, a questo punto, come conclusione, ci starebbe bene un bel pistolotto ecumenico, rivolto proprio a tutti, indifferentemente liguri, italiani ed europei, a base di frasi fatte piene di sussulti d’orgoglio e colpi di reni, nonché di inviti a non buttarci via insieme con l’acqua sporca. Ci starebbe bene, il pistolotto, ma suonerebbe ancora auto-consolatorio. Perché uscire da questo pantano non è questione di riscatto morale o di ascesi intramondana, mica siamo protestanti, ma di pura e semplice sopravvivenza.