Peggiorano gli indicatori di povertà assoluta che hanno raggiunto nel 2023 “livelli mai toccati negli ultimi 10 anni” e, contemporaneamente, crescono i lavoratori poveri con “il reddito, in particolare quello da lavoro dipendente, ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico“. È il quadro presentato dall’Istat nel rapporto annuale 2024. Tra i più poveri ci sono i minorenni: 1,3 milioni sono in condizioni di povertà assoluta. L’Istituto punta anche i riflettori sul reddito di cittadinanza sottolineando come l’erogazione della misura “ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022”. Tutto questo mentre il Pil pro capite nazionale, in termini reali, solo nel 2023 ha recuperato il livello del 2007. Ma rispetto al 2022, il recupero è stato pieno solamente al Nord, mentre il Centro, le Isole e il Sud registrano uno svantaggio, rispettivamente, di 8,7; 7,3; 3,4. Non solo pertanto il Mezzogiorno non migliora ma è il Centro a registrare il più alto peggioramento dei parametri, avvicinandosi ai dati delle regioni del Sud.

Cresce la povertà assoluta – La povertà assoluta ha colpito in Italia il 9,8% degli individui e l’8,5% delle famiglie, per un totale di 2 milioni 235 mila famiglie e di 5 milioni 752 mila individui in povertà. Record in negativo negli ultimi 10 anni. “L’incremento di povertà assoluta ha riguardato principalmente le fasce di popolazione in età lavorativa e i loro figli“, sottolinea l’Istat. Gli indicatori di povertà negli ultimi 10 anni mostrano una “convergenza territoriale tra le ripartizioni, ma verso una situazione di peggioramento”, aggiunge l’Istituto. Nell’arco del decennio considerato, l’incidenza della povertà assoluta a livello familiare è salita dal 6,2 all’8,5 per cento, e quella individuale dal 6,9 al 9,8 per cento. Rispetto al 2014 sono aumentate di 683 mila unità le famiglie in povertà (erano 1 milione e 552 mila) e di circa 1,6 milioni gli individui in povertà (erano 4 milioni e 149 mila). L’incidenza di povertà assoluta familiare è più bassa nel Centro (6,8 per cento) e nel Nord (8,0 per cento sia il Nord-ovest sia il Nord-est), e più alta nel Sud (10,2 per cento) e nelle Isole (10,3 per cento). Lo stesso accade per l’incidenza individuale: 8,0 per cento nel Centro, 8,7 nel Nord-est, 9,2 nel Nord-ovest e 12,1 per cento sia nel Sud sia nelle Isole. Tra il 2014 e il 2023, l’incidenza familiare aumenta molto nel Nord (nel Nord-ovest, dal 4,6 all’8 per cento; nel Nord-est, dal 3,6 all’8 per cento), sale in maniera più moderata nel Centro (dal 5,5 al 6,8 per cento) e nel Sud (dal 9,1 al 10,2 per cento) e rimane pressoché stabile nelle Isole (dal 10,6 al 10,3 per cento). L’incidenza individuale sale nel Nord-ovest dal 5,9 al 9,2 per cento; nel Nord-est da 4,5 a 8,7; nel Centro da 5,7 a 8,0; nel Sud da 8,9 a 12,1 e nelle Isole da 11,8 a 12,1.

L’incidenza più elevata sui minorenni – Nel 2023, 1,3 milioni di minorenni sono in condizioni di povertà assoluta, con un’incidenza del 14 per cento. “Valori più elevati della media nazionale, si rilevano anche per i 18-34enni e i 35-44enni (11,9% e 11,8% rispettivamente). L’incidenza individuale decresce fino al 5,4% dei 65-74enni, il valore più basso, per poi risalire al 7,0% nella fascia di popolazione più anziana, quella degli individui con 75 anni e più“, sottolinea il presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli presentando il Rapporto annuale dell’Istituto. E in Italia diminuiscono sempre più i giovani: oltre tre milioni di giovani in meno in 20 anni. Il Paese registra nel 2023 appena 10,33 milioni di persone tra i 18 e i 34 anni con un calo del 22,9% rispetto al 2022 quando erano 13,39 milioni. Rispetto al picco del 1994, quando rientravano nella fascia i ragazzi del baby boom, il calo è di quasi cinque milioni (-32,3%). Negli ultimi 30 anni c’è stato un incremento speculare delle persone di 65 anni e più cresciute da poco più di 9 milioni nel 1994 a oltre 14 milioni nel 2023 (+54,4%).

Aumentano i lavoratori poveri – Come sottolinea l’Istat il reddito da lavoro ha visto affievolirsi la sua capacità di proteggere individui e famiglie dal disagio economico: tra il 2014 e il 2023 l’incidenza di povertà assoluta individuale tra gli occupati ha avuto un incremento di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% nel 2014 al 7,6% nel 2023. Per gli operai l’incremento è stato più rapido passando da poco meno del 9% nel 2014 al 14,6% nel 2023. Nel 2023 l’8,2% dei dipendenti era in povertà assoluta a fronte del 5,1% degli indipendenti. L’occupazione, infatti, è aumentata negli ultimi anni ma il potere d’acquisto dei salari lordi dei lavoratori dipendenti è diminuito negli ultimi 10 anni del 4,5%: “Nonostante i miglioramenti osservati sul mercato del lavoro negli ultimi anni, si legge, l’Italia conserva una quota molto elevata di occupati in condizioni di vulnerabilità economica. Tra il 2013 e il 2023 il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde in Italia è diminuito del 4,5% mentre nelle altre maggiori economie dell’Ue27 è cresciuto a tassi compresi tra l’1,1% della Francia e il 5,7% della Germania”.

Il ruolo del reddito di cittadinanza – Tutto questo tenendo conto che l’erogazione del Reddito di cittadinanza “ha permesso di uscire dalla povertà a 404 mila famiglie nel 2020, 484 mila nel 2021 e 451 mila nel 2022. Per quanto riguarda gli individui, l’uscita dalla povertà ha riguardato 876 mila persone nel 2020 e oltre un milione nel 2021 e nel 2022″, indica l’Istat nel suo rapporto annuale. Senza il reddito di cittadinanza, spiega l’Istituto, “l’incidenza di povertà assoluta familiare nel 2022 sarebbe stata superiore di 3,8 e 3,9 punti percentuali rispettivamente nel Sud e nelle Isole. Tra le famiglie in affitto, l’incidenza di povertà sarebbe stata 5 punti percentuali superiore. Tra le famiglie con persona di riferimento in cerca di occupazione, l’incidenza avrebbe raggiunto il 36,2% nel 2022, 13,8 punti percentuali in più”. L’erogazione del reddito di cittadinanza ha portato il Poverty gap (cioè l’ammontare di euro necessari per colmare la distanza tra le spese delle famiglie povere e le loro linee di povertà) a una riduzione da 9,1 a 5,2 miliardi nel 2020, da 9,5 a 5,2 miliardi nel 2021, e da 9,8 a 6,2 miliardi nel 2022.

L’impoverimento dei ceti bassi e modio-bassi – Tra il 2014 e il 2023, la spesa equivalente delle famiglie è cresciuta in termini nominali del 14% ma se si depura dalla crescita dei prezzi è diminuita del 5,8%. L’Istat sottolinea che l’impoverimento è stato generalizzato ma, che “il calo è stato più forte per le famiglie dei ceti bassi e medio-bassi, appartenenti al primo e al secondo quinto della distribuzione” con una riduzione rispettivamente del volume degli acquisti dell’8,8% e dell’8,1%. Le famiglie del ceto medio e medio-alto, appartenenti al terzo e quarto quinto, hanno diminuito le loro spese reali in maniera più significativa rispetto alla media nazionale (-6,3% il terzo e -7,3% il quarto) mentre le famiglie più abbienti, appartenenti all’ultimo quinto, hanno contenuto le proprie perdite con un -3,2%. Le distanze in termini reali tra famiglie più e meno abbienti, spiega l’Istat, si sono ampliate in particolare nell’ultimo triennio: con la ripresa inflazionistica, le famiglie con minori capacità di spesa hanno dovuto infatti scontare un aumento dei prezzi più forte rispetto a quelle più benestanti. Ciò è avvenuto in particolare nel corso del 2022, quando l’inflazione è stata molto alta e trainata da energetici e alimentari, beni essenziali che pesano in misura maggiore sulla spesa delle famiglie con maggiori vincoli di bilancio. Rispetto al 2020, le famiglie più povere hanno avuto a fine 2023 un’inflazione specifica del 22,2%, rispetto al 15,1% delle famiglie più benestanti (+17,4% la media complessiva).

Crollato il potere di acquisto dei salari – Nel triennio 2021-2023, sottolinea l’Istat, le retribuzioni contrattuali orarie sono cresciute a un ritmo decisamente inferiore a quello osservato per i prezzi, con una differenza particolarmente marcata nel 2022 (7,6 punti percentuali): tra gennaio 2021 e dicembre 2023 i prezzi al consumo sono complessivamente aumentati del 17,3%, mentre le retribuzioni contrattuali sono cresciute del 4,7%. Dopo un periodo di quasi tre anni, la dinamica tendenziale delle retribuzioni contrattuali è tornata, a ottobre 2023, a superare quella dei prezzi, grazie alla continua decelerazione dell’inflazione. In media di anno, tuttavia, la crescita salariale è risultata ancora inferiore a quella dei prezzi. Le retribuzioni contrattuali orarie nel 2023 sono aumentate del 2,9%, in rafforzamento rispetto al 2022 (1,1%) mentre i prezzi al consumo, seppure in decelerazione, hanno comunque segnato nel 2023 una crescita del 5,9%, che ha determinato un ulteriore arretramento in termini reali delle retribuzioni.

Aumenta il pil ma cresce il divario con la media dell’Ue27 – Il pil pro capite nazionale, in termini reali, solo nel 2023 ha recuperato il livello del 2007. Invece rispetto al 2022, il recupero è stato pieno solamente nelle ripartizioni del Nord, mentre il Centro, le Isole e il Sud registrano uno svantaggio, rispettivamente, di 8,7; 7,3; 3,4 punti percentuali, con un’accentuazione delle disparità. Il differenziale del pil pro capite delle regioni italiane meno sviluppate rispetto alla media dell’Ue27, riflette tassi di occupazione e produttività del lavoro meno elevati. Tra il 2004 e il 2023, il tasso di occupazione 15-64 anni in Italia è cresciuto dal 57,4 per cento al 61,5 per cento, con un aumento di quasi 900.000 occupati nella stessa fascia d’età. Tuttavia, il divario con la media dell’Ue27 è cresciuto da circa 4,4 a 9,8 punti percentuali.

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