Mentre a Genova gli inquirenti scoperchiano un mondo di intrecci perversi tra politica e imprenditoria, governo e Parlamento lavorano perché le inchieste di questo tipo diventino sempre più difficili da condurre. Dall'interrogatorio preventivo allo stop ai trojan, passando per i limiti a intercettazioni e sequestri: tutti i fronti dell'assalto alla giustizia
Mentre a Genova gli inquirenti scoperchiano un mondo di intrecci perversi tra politica e imprenditoria, a Roma governo e Parlamento lavorano perché le inchieste come quella sul “sistema Toti” siano sempre più difficili da condurre. Sono tantissime ormai le misure approvate o annunciate dalla maggioranza per indebolire il contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione. Partiamo dal ddl Nordio, primo tassello della riforma penale promessa dal ministro della Giustizia, in discussione alla Camera dopo l’approvazione al Senato: il suo contenuto principale è l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, commesso dal pubblico ufficiale che viola la legge per favorire qualcuno danneggiando qualcun altro. Per capirci, se anche non fosse dimostrato lo scambio corruttivo ipotizzato dai pm, adesso le delibere in favore dell’imprenditore Aldo Spinelli adottate della Regione Liguria e dall’Autorità portuale di Genova potrebbero essere punite proprio a titolo di abuso d’ufficio (perlomeno quelle palesemente contrarie alla legge): domani questo non sarà più possibile. Il ddl, inoltre, svuota la fattispecie di traffico di influenze illecite, introdotta dalla legge Severino per colpire la “zona grigia” tra criminalità e istituzioni: nella nuova versione della norma, la “mediazione illecita” dei faccendieri tra i due mondi sarà punibile solo se finalizzata a commettere un reato. Ma quel reato, quando c’è, è quasi sempre l’abuso d’ufficio, che sarà cancellato dallo stesso provvedimento.
Gli arrestati avvisati in anticipo – Nel testo di Nordio, poi, c’è un’altra novità che regalerà scappatoie penali a corrotti e corruttori. È il cosiddetto interrogatorio preventivo: prima di disporre qualsiasi misura cautelare (non solo il carcere o i domiciliari, ma anche quele più lievi come l’obbligo di dimora o di firma) il gip dovrà interrogare l’indagato, notificandogli l’invito “almeno cinque giorni prima di quello fissato per la comparizione”. La previsione non si applica se sussistono le esigenze cautelari del pericolo di fuga o di inquinamento delle prove, o anche quella di reiterazione dei reati più gravi (mafia, terrorismo, violenze sessuali, stalking) o “commessi con l’uso di armi o con altri mezzi di violenza personale”. In sostanza, quindi, la nuova garanzia vale quasi solo per i reati dei colletti bianchi, quando la misura (come quasi sempre accade) è giustificata solo dal rischio di reiterazione. Nel caso specifico di Genova, va detto, l’obbligo non sarebbe scattato: per Spinelli, per il governatore Giovanni Toti e per il presidente dell’Autorità portuale Paolo Emilio Signorini, infatti, la gip Paola Faggioni ha riconosciuto anche l’esigenza cautelare di evitare l’inquinamento delle prove. Ma sono proprio gli arresti “eccellenti” come questi che in futuro dovranno essere preceduti dall’interrogatorio. Così i Toti, gli Spinelli e Signorini di turno saranno avvisati con cinque giorni di anticipo dell’intenzione di metterli in carcere o ai domiciliari. E potranno scegliere se farsi trovare o percorrere strade alternative.
Limiti a intercettazioni e sequestri – Poi c’è il tentativo di ostacolare le indagini, che assume varie forme. La più recente è il disegno di legge a prima firma del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin, riscritto da un emendamento della relatrice leghista Erika Stefani, per bloccare le intercettazioni dopo 45 giorni. Il testo, approvato in Commissione Giustizia al Senato, riscrive l’articolo 267 del codice di procedura penale: se adesso le intercettazioni, quando indispensabili, possono essere prorogate senza limiti dal gip su richiesta del pm per periodi successivi di 15 giorni, da domani non potranno “avere una durata complessiva superiore a 45 giorni, salvo che l’assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall’emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione” a ogni rinnovo. Una norma che probabilmente renderebbe impossibile l’inchiesta sul sistema Liguria, in cui le intercettazioni sono durate oltre due anni e, com’è normale, non hanno prodotto in continuazione “elementi specifici e concreti”. Al Senato, invece, è passato un altro disegno di legge, proposto da Zanettin e dalla senatrice del Carroccio Giulia Bongiorno, per rendere più difficile il sequestro degli smartphone durante le indagini: in sintesi, se adesso il pm può acquisire il device ed estrarne i contenuti in autonomia – con un semplice decreto motivato – domani serviranno due successive autorizzazioni del gip e nel mezzo una sorta di incidente probatorio. In sostanza, quindi, una procedura che adesso può completarsi in un solo giorno o in poche ore domani richiederà almeno una settimana. Su entrambi i provvedimenti – quello sulle intercettazioni e quello sui sequestri – il Pd e l’Alleanza Verdi e Sinistra hanno scelto di astenersi.
Niente trojan per corrotti e corruttori – L’altro fronte è l’assalto per abolire la possibilità, introdotta nel 2019 dalla legge Spazzacorrotti, di usare il trojan – il captatore informatico che trasforma i telefoni in microspie – nelle indagini per i più gravi reati contro la pubblica amministrazione. L’obiettivo è stato fissato dal ministro Carlo Nordio già all’inizio della legislatura: “Il trojan deve essere tolto, è un’arma incivile. Può essere usato com’era all’inizio”, cioè prima della Spazzacorrotti, “in casi eccezionali di gravissima pericolosità nazionale, diciamo pure mafia e terrorismo. Per il resto no“, aveva detto. Va da sè che senza il trojan (e le captazioni ambientali) l’inchiesta sul sistema Liguria non si sarebbe potuta fare: gli indagati erano ben consapevoli della possibilità di essere intercettati mentre parlavano al telefono. “Sappiamo che c’abbiamo i telefoni sotto controllo… quindi basta dirsi poco e niente… io a lui gli dico ci vediamo a colazione… tutto lì!”, diceva per esempio Spinelli alla compagna di Signorini.
Tutti gli assalti al captatore – Il primo a proporre l’abolizione è stato il solito Zanettin in un disegno di legge depositato a dicembre 2022. Ma l’impegno è stato rilanciato lo scorso settembre nella relazione finale dell’indagine conoscitiva sulle intercettazioni, approvata in Commissione Giustizia al Senato con i voti della maggioranza e di Italia viva. Da ultimo, martedì, la Camera ha approvato un ordine del giorno del deputato Enrico Costa (Azione) al ddl cybersicurezza che impegna il governo “a prevedere l’introduzione, nel primo provvedimento utile, di una disciplina organica del captatore informatico che rifletta il miglior bilanciamento tra le esigenze investigative e i principi di cui agli articoli 14 e 15 della Costituzione” cioè la tutela del domicilio e il principio della riservatezza. Se anche (per sbaglio) qualche corrotto o tangentista venisse condannato, poi, può essere ragionevolmente sicuro di scontare la sua pena fuori dal carcere: a dicembre 2022, infatti, il Parlamento ha demolito un altro pilastro della Spazzacorrotti, il divieto di concedere misure alternative ai condannati per reati contro la Pa. Insomma, Toti può stare tranquillo: male che gli vada, dovrà passare ancora qualche mese nel suo villino di Ameglia.