Undici Paesi dell’Unione europea chiedono di sbloccare l’impasse politica sulla Nature Restoration law, il regolamento che mira a ripristinare gli ecosistemi sul 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030, ma molte politiche nazionali e l’utilizzo delle risorse economiche di diversi Stati vanno in direzione opposta. Seguendo, invece, il solco che stanno tracciando i vari dietrofront comunitari sulle misure legate all’ambiente. A poco meno di un mese dalle elezioni europee dell’8-9 giugno, il Wwf pubblica uno studio che fa luce su come l’Italia e gli altri Stati Membri spendono i ricavi ottenuti dalle tasse pagate dai cittadini europei in finanziamenti ad attività che, invece di tutelarlo, danneggiando l’ambiente. Secondo l’analisi, i Paesi dell’Ue stanno impiegando tra i 34 e i 48 miliardi di euro all’anno di sussidi europei in attività che danneggiano la natura. Basti pensare che, fino al 60% dei finanziamenti della Politica Agricola Comune, per un totale di oltre 32 miliardi di euro all’anno, viene speso in attività che incoraggiano pratiche agricole dannose per la biodiversità.

Il caso dell’Italia, gli allevamenti intensivi e i soldi che mancano alla biodiversità – Emblematico il caso dell’Italia, dove l’80% delle risorse della Pac vengono assegnate al 20% delle aziende agricole nazionali, le più grandi e le più inquinanti. Tra queste, i due terzi sono aziende agricole zootecniche intensive concentrate in sole tre regioni: Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. La Pac italiana favorisce così gli allevamenti intensivi. “Ogni anno, oltre 30 miliardi di euro della Pac finanziano attività che danneggiano la natura, fallendo nell’obiettivo di sostenere adeguatamente gli agricoltori” racconta Dante Caserta, responsabile Affari legali e istituzionali del Wwf Italia. E aggiunge: “I sussidi europei, in Italia, finiscono per sostenere le grandi imprese agricole e gli allevamenti intensivi creando danni per l’ambiente e rilevanti disparità economiche, sociali e territoriali tra gli agricoltori”. Peraltro, l’allocazione distorta dei fondi Ue è in netto contrasto con le esigenze identificate nella Strategia europea per la biodiversità. Si stima che tra il 2021 e il 2030 siano necessari 48 miliardi di euro all’anno – provenienti dai bilanci dell’UE e nazionali – per realizzare la Strategia dell’UE per la Biodiversità 2030. Ciò rappresenta solo lo 0,34% del Pil totale dell’Ue, ma non si riesce a raggiungere questo obiettivo, dato che mancando oltre 18 miliardi di euro all’anno.

I paesi che chiedono la legge sul Ripristino della natura – Di fatto, l’Italia non è tra i Paesi europei che, in una lettera indirizzata alla presidenza belga dell’Ue e gli altri Stati membri, hanno chiesto di sbloccare l’impasse sulla legge sul ripristino della natura al prossimo Consiglio Ambiente del 17 giugno. Il regolamento è una misura strategica del piano europeo e il voto in Consiglio Ambiente Ue, previsto per il 25 marzo scorso, doveva essere una mera formalità, dato che l’accordo politico tra Consiglio e Parlamento Ue era stato già raggiunto a novembre 2023. Eppure quel voto è stato cancellato dall’agenda della riunione dei ministri europei dell’Ambiente. E la misura, ennesima vittima delle elezioni in arrivo, è rimasta in ostaggio. Ne chiedono l’approvazione, invece, Irlanda, Germania, Francia, Spagna, Repubblica ceca, Lussemburgo, Lituania, Estonia, Danimarca, Slovenia e Cipro. “La continua assenza di una maggioranza qualificata per l’accordo provvisorio, accuratamente negoziato, è molto preoccupante: un simile passo indietro su compromessi precedentemente concordati, frutto di lunghi mesi di negoziati, mette a rischio le nostre istituzioni democratiche e mette in discussione il processo decisionale dell’Ue” è scritto nel documento promosso dall’Irlanda, in cui i firmatari incalzano ad “agire con urgenza e decisione per concludere il processo politico” sul regolamento.

Altro che natura, ecco dove vanno i sussidi diretti – Nel frattempo, anche al di fuori del quadro della Pac, gli Stati membri dell’Ue assegnano una serie di sussidi dannosi per la biodiversità legati all’agricoltura e alla silvicoltura. Ad esempio, nel 2022, le sovvenzioni dirette assegnate dagli Stati membri alla biomassa come fonte energetica ammontavano a 15 miliardi di euro. Anche i sussidi indiretti dannosi, come le riduzioni o le esenzioni fiscali per i fertilizzanti e i pesticidi, vengono assegnati ai settori agricolo e forestale. E poi ci sono i sussidi diretti ad altri settori. Per esempio, alla pesca: tra il 5% e il 12% del Fondo europeo per gli affari marittimi, la pesca e l’acquacoltura, ossia tra i 59 e i 138 milioni di euro all’anno, viene dirottato in sussidi dannosi per la biodiversità. Si tratta di una cifra fino a 2,5 volte superiore ai finanziamenti del Feamp dedicati alla protezione e al ripristino della biodiversità, che ammontano a 53 milioni di euro all’anno. Poi ci sono i sussidi alle infrastrutture di trasporto (da 1,7 miliardi a 14,1 miliardi di euro all’anno) e alle infrastrutture idriche (tra 1,3 e 2 miliardi di euro all’anno) che contribuiscono in modo significativo alla perdita di biodiversità.

Il focus sui sussidi alla pesca – In particolare, un approfondimento sui sussidi alla pesca per il periodo 2014-2020 in dodici principali economie del Mediterraneo ha rivelato che oltre 1,3 miliardi di euro (47% dell’importo totale) sono stati utilizzati per sovvenzionare carburante, lavorazione dei prodotti ittici e costruzione e ristrutturazione di imbarcazioni con il risultato di incrementare l’attività di pesca e le catture complessive. Solo 957 milioni di euro (il 36%) sono stati utilizzati per migliorare la gestione e i controlli della pesca o per la protezione della biodiversità. “Sebbene i pescatori artigianali costituiscano la stragrande maggioranza delle flotte del Mediterraneo e abbiano generalmente un impatto ambientale inferiore rispetto alla pesca industriale – racconta il Wwf – le piccole imbarcazioni (sotto i 12 metri) hanno ricevuto una quota trascurabile del 3% del sostegno pubblico dell’Ue, con Paesi come l’Italia e la Croazia che hanno investito anche meno del 2%”.

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