L’università deve rimanere “uno spazio sicuro per tutti, in particolare per i suoi studenti e ricercatori, per esprimere liberamente opinioni diverse e impegnarsi in proteste pacifiche”: questa posizione netta e ufficiale arriva dal Consiglio accademico dell’Istituto universitario europeo (IUE), l’ente di studio e di ricerca finanziato dai 23 stati dell’istituto universitario europeo che ha sede nella badia Fiesolana di San Domenico.

Nel giorno in cui a Firenze sono iniziate le proteste degli studenti che stanno aderendo all’Intifada studentesca con tende e cortei, l’organo che l’organo che rappresenta tutti i professori dell’istituto ha redatto uno statement in cui condanna le violenze in Medio Oriente e chiede un cessate il fuoco immediato ma soprattutto con cui si impegna a garantire che l’Istituto sia un luogo sicuro di dibattito. Patrizia Nanz ne è la presidente da marzo del 2024 ed è uno dei pochi esponenti alla guida di un ente di studio così prestigioso ad esporsi sulle proteste, ormai estese a tutti gli atenei italiani.

Professoressa Nanz, siamo nel pieno di un dibattito che vede quasi contrapposti le proteste e la libertà: esiste davvero questa dicotomia e perché avete deciso di esporvi?
Sono orgogliosa dei giovani che difendono il diritto e la pace, due valori sui quali è fondata l’Europa e che chiedono risposte a governi e istituzioni. Con poche eccezioni, come per esempio le università di Brown e Wesleyan negli Stati Uniti, vedo però che le amministrazioni universitarie faticano a mantenere un dialogo con la comunità studentesca durante questo ciclo di proteste. E osservo anche alcuni media preferiscono alimentare le polemiche invece di informare il pubblico sui fatti. Eppure tutti noi possiamo imparare qualcosa da queste esperienze e cercare di dare un esempio migliore.

Si parla molto anche di violenza e censura: c’è davvero questa violenza ed esiste un confine?
In alcune proteste studentesche, come recentemente ad Amsterdam in Olanda, purtroppo si sono verificati episodi di violenza. Ma la maggior parte delle proteste organizzate si svolge pacificamente, come mi auguro continuino a svolgersi, nel rispetto della libertà degli altri.

Le motivazioni degli studenti e dei docenti sono giuste?
Non spetta a me, né come persona né come Presidente dell’IUE, giudicare le motivazioni di chi protesta. Noi ascoltiamo chi protesta ed entriamo in un dialogo civile per capire meglio le loro preoccupazioni e richieste. Molti sono scioccati dalla violenza contro i civili: queste generazioni, che erano considerate apolitiche e disinteressate, sono invece riuscite a costruire un movimento globale che riporta la pace al centro della discussione.

Come è accaduto secondo lei?
È ancora presto per dare una interpretazione a questa svolta, ma mi sembra un elemento di riflessione fondamentale. Siamo davanti a una generazione che ha visto il suo futuro chiudersi di fronte agli effetti congiunti della crisi finanziaria del 2008 e della crisi climatica, per poi attraversare gli anni aridi del Covid. Eppure, proprio questa generazione è riuscita a creare una mobilitazione globale. Credo che siamo solo agli inizi di questo movimento.

Tecnologie civili ad uso bellico (dual use) e accordi di ricerca con aziende del settore: quali sono i confini etici?
Una delle condizioni fondamentali per la ricerca e il dialogo è la pace. Ci sono buone ragioni per porre dei limiti all’uso militare del sapere scientifico, tenendo conto del potenziale distruttivo per tutto il pianeta delle armi moderne. È un tema su cui le comunità accademiche e la società devono portare avanti una riflessione etica e prendere posizione. Ma questa discussione purtroppo si tiene spesso troppo tardi. Penso per esempio ai dibattiti che ci sono stati attorno ai programmi di contro-insurrezione del Pentagono, quando imbarcava antropologi nelle unità di combattimento in Iraq. Però, dovrebbe essere una discussione continua, che si adegua ai nuovi sviluppi tecnologici. Oggi, una delle grandi questioni è quello dell’uso dell’Intelligenza Artificiale, sul quale abbiamo urgentemente bisogno di un ampio dibattito.

Qual è o quale dovrebbe essere ruolo delle istituzioni e degli enti d’istruzione e ricerca in questo contesto?
L’università è un luogo di conoscenza, scambio, studio, apertura e riflessione. Mi piace descriverla come un’ancora di salvataggio, su cui contare mentre navighiamo attraverso le crisi odierne. Pertanto, deve porsi in prima linea, con una forte volontà di agire e con la consapevolezza di voler creare uno spazio per la discussione libera, necessaria alla democrazia. In un mondo in cui la discussione pubblica è polarizzata dalla logica dei social media, l’università rimane una delle poche istituzioni dove è ancora possibile ragionare sui fatti.

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