Viva la pasta ripiena, quella buona però
Viva la pasta, viva la pasta ripiena. Lo scorso 13 maggio è uscito sul New York Times un lungo pezzo sull’Italia e la pasta ripiena (tre giorni dopo, l’editorialista Frank Bruni ha celebrato il ‘pranzo della domenica all’italiana’). Niente di nuovo, Italia e pasta, e quando non è pasta è pizza. Mica che la cosa ci stia stretta, provateci voialtri a farne di cose così. Il pezzo di Dawn Davis, di quelli con le foto fatte bene (da Sharon Radisch) che ti fanno pensare ‘vedi i giornali che hanno i soldi’, è ben fatto. Certo, inizia dicendo che ogni regione italiana ha il suo formato di pasta ripiena che ovunque prende il generico nome di “ravioli” e non è vero. Che sia un velato riferimento all’inizio della storia d’amore tra Fedez e Chiara Ferragni quando i due si chiamavano appunto col nomignolo ‘ravioli’ e si tatuarono pure un raviolo? Chissà. Comunque, Davis parla dell'”Enciclopedia della pasta” (2009 – Oretta Zanini De Vita) e da lì parte per spiegare come la pasta ripiena non sia “un elemento unificante” ma anzi “le centinaia di forme divergenti accentuano le differenze regionali dell’Italia”. “La mortadella è comunista, il salame socialista, il prosciutto è democristiano” e la pasta ripiena è leghista?
A parte la citazione di Francesco Nuti, il lungo ragionamento sulla pasta ripiena va dalle origini (“la parola stessa “ravioli” deriva probabilmente dall’italiano riavvolgere e compare per la prima volta nella documentazione scritta nel XIII secolo, quando Salimbene Di Adam, un frate francescano di Parma noto per le cronache dei suoi golosi viaggi in Francia e in Italia, menziona di aver mangiato “raviolos sine crusta de pasta” – in questo caso il boccone di cibo senza il “solito involucro di pasta” durante la festa di Santa Chiara”) all’insondabile mistero degli agnolotti del plin: “Le leggende attribuiscono il piatto a un cuoco di una di queste famiglie, un uomo di nome Angelino (traduzione dialettale di Angelot) a cui fu chiesto di preparare un pasto celebrativo dopo che la famiglia aveva respinto un attacco al loro castello. Recuperò quello che poteva dalla dispensa, arrostì le carni, tagliò finemente le verdure e insaccò il tutto nella pasta. Il sugo era un semplice jus fatto con le carni arrostite”. E via di plin, spiegato e rispiegato. Si spera per l’autrice, anche assaggiato.
Da notare come anche il numero del T Magazine del 19 maggio sia a tema: “Il cibo perfetto: Cosa sarebbe l’Italia senza la pasta?”. L’immagine di copertina è una stampa di un ritratto di donna con sopra una pasta ripiena a forma di sole. Insomma, ravioli, agnolotti, tortellini, culurgiones, all’appello ci sono quasi tutti e quindi viene da pensare che la cultura della pasta, financo ripiena, abbia ‘impregnato’ il mondo formando le menti e guidando le mani all’impasto, alla cottura, al condimento.
Allora vale la pena fare un giro su TikTok per vedere che accade, vuoi mai che un bel pezzo del New York Times trovi rispondenza nei favolosi piatti mostrati sul social? Manco per niente. Tra i video più visti per esempio c’è quello di tale @cheesegirlkate che la pasta ripiena la interpreta così: prende un quintale circa di cipolle bianche per il soffritto, ci rovescia una bottiglia di pomodoro passato. Cuoce troppo della pasta di granoduro formato conchiglie giganti, ci mette dentro del formaggio che a spanne non sembra parmigiano. Distende il pomodoro su una pirofila, ci piazza sopra le conchiglie formaggiose, mette in forno, ricuoce e via di prezzemolo. Sotto, il video realizzato da @itmamamray che la dice lunga sull’interpretazione di pasta ripiena più comune. Il video ha oltre un milione di views ed uno tra tantissimi. Per non farci mancare nulla, a questo link la preparazione dei ravioli secondo @barbhomekitchen. Gnam gnam.
@itsmamaray ???????????????? #jumbostuffedshells #stuffedshells #cookingtutorial #sahm ♬ original sound – mama ray ᥫ᭡