L’attacco alla magistratura autonoma ed indipendente è un attacco a tutte le persone che credono nell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Ho svolto le funzioni di pubblico ministero per 15 anni tra Napoli e Catanzaro e poi di sindaco di Napoli per 11 anni e stando comunque sempre in prima linea nelle istituzioni ho conosciuto la parte buona dello Stato e quella malata che appare sempre più prevalente. Se oggi non faccio più il pm e sono stato ostacolato e fermato nel mio lavoro non è solo colpa della mala politica ma anche della mala magistratura.
Premetto questo per dire che non difendo la corporazione dei magistrati a prescindere. I modelli Palamara e di quei magistrati legati al potere li ho sempre contrastati e sono i grandi nemici della democrazia e della stessa magistratura. Il sistema malato delle correnti che condiziona la vita dei magistrati non è un’invenzione della politica o dei giornalisti. È amara realtà.
La collusione di pezzi della magistratura soprattutto in alcune zone del Paese è una verità triste e pericolosa. La distruzione di servitori dello Stato onesti, bravi e coraggiosi ad opera anche di pezzi della magistratura è un fatto storico. Quindi corrisponde al vero quando ascoltiamo la politica dire che non è contro la magistratura.
Questa politica vuole magistrati “sonnolenti”, con cui si frequentano nei medesimi salotti, quelli a cui danno direttamente o a loro familiari incarichi importanti e ben retribuiti, quelli che usano il manganello togato contro i ladri di necessità e lo spadino di latta nei confronti dei potenti, quelli con cui amano confrontarsi nei luoghi di potere dove se la cantano e se la suonano tra di loro.
La politica adora i magistrati conformisti, quelli ammalati di agorafobia che prevengono le raccomandazioni prima ancora di riceverle e che interpretano il diritto nella maniera più gradita al potere. Alla politica piace il magistrato attentissimo al formalismo, alla burocrazia, alla statistica, ai numeri, alla carriera, amano quei magistrati attenti a non turbare nessun equilibrio di potere per evitare di incappare in rischi per la propria vita professionale anche sotto il profilo economico oltre che di carriera.
La politica vuole la discrezionalità dell’azione penale in maniera tale che sarà la politica a decidere quali reati perseguire: e si può intuire quali saranno le priorità del potere, non certo il contrasto a corruzioni e mafie, soprattutto dei colletti bianchi. La politica vuole la separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici, per mettere i pm sotto il diretto controllo del potere esecutivo, in maniera tale che i giudici formalmente indipendenti celebreranno solo i processi voluti dalla politica e indagini sulla politica saranno impossibili se non contro quella politica, che rappresenta l’eccezione, che è fuori dal sistema.
La politica vuole un Consiglio superiore della magistratura ancora più politicizzato e separato per giudici e pm in modo da controllare meglio la carriera dei pubblici ministeri. La politica cancella l’abuso d’ufficio perché sa che dalle indagini sugli abusi d’ufficio si arriva alle corruzioni e al sistema criminale. La politica vuole eliminare il concorso esterno in associazione mafiosa perché sa che è un reato che consente di individuare la cosiddetta borghesia mafiosa.
La politica vuole ridimensionare le intercettazioni perché sa che si tratta di mezzo di ricerca della prova fondamentale per catturare latitanti, individuare corruzioni e truffe gigantesche, i traffici internazionali di droga, individuare le più pericolose organizzazioni criminali e le mafie, per ricostruire relazioni illecite sulla gestione del potere politico, istituzionale ed economico. La politica non vuole normative efficaci sugli appalti pubblici per avere più mani libere per mettere meglio le mani in pasta.
Ecco perché difendere la Costituzione, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’autonomia e l’indipendenza dei magistrati, significa garantire l’uguaglianza di tutti noi davanti alla legge, vuol dire che nessuno mai potrà essere al di sopra della legge e della Costituzione, nemmeno i magistrati che debbono essere tutti consapevoli che autonomia ed indipendenza non sono un loro privilegio che gli concede il salvacondotto dell’irresponsabilità, ma la garanzia dello stato di diritto e soprattutto dell’uguaglianza effettiva di ogni persona.