Cammina svelto, per rimanere mezzo passo avanti al suo ospite e ricordare chi è che davvero guiderà “l’ordine multipolare” voluto da entrambi: Xi Jinping ha accolto Vladimir Putin al suo arrivo a Pechino in una cerimonia di benvenuto in pompa magna a piazza Tiananmen, srotolando il tappeto rosso per il partner e “amico di vecchia data” ma senza impegnarsi in promesse concrete. Un’ambiguità strategica che consente alla Cina di mostrarsi dialogante con la Russia senza però preoccupare eccessivamente i leader occidentali, mentre Mosca si assicura di poter contare ancora sul supporto economico della Repubblica Popolare per proseguire nella guerra in Ucraina, ora che l’offensiva sta facendo guadagnare terreno prezioso all’esercito. Pechino punta così a diventare il grande traghettatore degli affari internazionali, ma Washington non ha intenzione di permetterlo. E lancia il suo avvertimento: “Non può avere rapporti sia con la Russia che con l’Europa”.

“L’obiettivo principale di questa visita è per entrambi quello di non far vedere le crepe nel rapporto tra Cina e Russia”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Eleonora Tafuri Ambrosetti, ricercatrice dell’Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI) per l’area Russia, Caucaso e Asia centrale. “Crepe che ci sono sempre state, ma che risultano particolarmente evidenti ora che le pressioni sulla Cina per smettere di sostenere Mosca si sono fatte più insistenti”.

Quella di questi giorni è la prima visita internazionale del leader del Cremlino da quando ha cominciato il suo quinto mandato e la prima volta che incontra Xi dopo il Forum sulla Via della Seta dello scorso ottobre. Per Putin, l’importanza di quel tappeto rosso steso dal “fratello cinese” è indiscussa. “È logico che il mio primo viaggio all’estero sia stato in Cina”, ha confermato il presidente sottolineando che i rapporti con Pechino sono “una forza stabilizzante nel mondo”. Più tiepido invece il responso del segretario del Partito Comunista che se a favore di telecamere ha imbastito una cerimonia degna di un partner di primo livello e un programma di intrattenimento altrettanto personale e intimo, nel bilaterale con Putin si è limitato a reiterare le proprie priorità: garanzia di sicurezza sul fronte economico e del rifornimento di energia, critica agli Stati Uniti per i doppi standard imposti ai due leader e un rinnovato impegno per “evitare un’escalation” nel conflitto ucraino come in quello mediorientale.

Il fulcro del confronto tra i due, tuttavia, rimane l’Ucraina. “In questo momento Xi e la Cina sono gli unici a poter aiutare la Russia economicamente e lo fanno anche sul fronte militare, visto che il 90% delle tecnologie dual use (componenti utili sia in ambito civile che militare, ndr) impiegate da Mosca arrivano dalla Cina”, sottolinea Tafuri Ambrosetti. È questa l’accusa rivolta a Pechino da Washington e che oggi il governo cinese ha nuovamente respinto per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Wang Wenbin: “Quelle degli Stati Uniti sono false accuse nei confronti di normali rapporti commerciali della Cina con la Russia”, ha detto indicando l’atteggiamento americano come “un tipico esempio di doppi standard, ipocrita e irresponsabile”.

Passi in avanti, almeno a parole, sull’impegno di mediazione cinese in Ucraina ci sono però stati. Durante l’incontro con Putin, Xi ha affermato che le due parti hanno concordato sulla necessità di una “soluzione politica” per risolvere la guerra. Una soluzione che parte dai concetti presentati nel documento in 12 punti pubblicato da Pechino a febbraio 2023 e che comprende il “rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi”, ma anche delle “ragionevoli preoccupazioni di sicurezza di tutte le parti”. Anche con questa nuova conferma, i dubbi degli esperti del settore sulla proposta, considerata vaga e inconcludente, persistono: “Il piano in 12 punti è l’esempio più lampante dell’ambiguità strategica cinese. Da un lato sancisce l’inviolabilità della sovranità, dall’altro non nomina le annessioni illegali della Russia e condanna le sanzioni occidentali. È una dichiarazione vuota, con principi che la Cina sposa, ma che non hanno applicazione concreta perché anche sul punto della sovranità non specifica, di proposito, a chi si rivolge”, commenta a proposito Tafuri Ambrosetti.

D’altronde quello che preoccupa maggiormente la Cina non è tanto l’esito del conflitto in Ucraina quanto le sanzioni commerciali minacciate dagli Stati Uniti per i commerci con la Russia. Già durante la visita a Pechino del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, dello scorso 24 aprile il governo Usa ha insistito affinché la Cina interrompesse l’invio di “aiuti militari” a Mosca, per poi imporre sanzioni a inizio maggio sulle aziende cinesi sospettate di aiutare gli sforzi di guerra del Cremlino. “Finché ci sono delle falle che consentono a Paesi terzi di aggirare le sanzioni lo faranno”, sottolinea la ricercatrice di ISPI. “Solo una volta che Washington dovesse intervenire con sanzioni secondarie potrebbe esserci un ravvedimento anche dalla Cina”.

È anche per questo che durante il suo viaggio in Europa, la scorsa settimana, Xi ha provato a rassicurare i partner europei sui legami con Mosca, senza però dimenticare di fare visita a quei Paesi nel Vecchio Continente che con la Russia hanno uno stretto legame, come Serbia e Ungheria. Un colpo al cerchio e uno alla botte, in perfetto stile cinese, con il beneficio aggiuntivo della reverenza ricevuta da Xi da leader come il premier serbo Aleksandar Vučić. “Belgrado non è importante quanto la Russia per la Cina, ma significa mettere un piede nella porta dell’Unione europea, in un Paese che per motivazioni storiche ha legami con Mosca”. E lo si è visto proprio nell’ultimo intreccio di incontri: prima è stata la volta di Xi dal grande alleato di Putin, poi a Belgrado sono andati anche la first lady ucraina, Olena Zelenska, e il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba. Ma da Washington viene ribadita la posizione dura: la Cina “non può dire di volere relazioni più strette con l’Europa e continuare ad alimentare quella che è una delle maggiori minacce alla sicurezza europea”, ha detto il vice portavoce del Dipartimento di Stato, Vedant Patel.

Certo è che la fanfara in corso a Pechino non fa che ribadire all’Occidente che il cordone ombelicale tra Russia e Cina, per quanto da parte cinese sia mantenuto saldo più per interesse commerciale che per vicinanza culturale e ideologica, è ancora difficile da recidere. Una cosa però è cambiata e rimane sotto gli occhi di tutti: se nelle canzoni di propaganda degli anni Cinquanta in Cina si descriveva la Russia come “il fratello grande” a cui guardare con ammirazione per prendere esempio, quello che il viaggio di Putin al cospetto di Xi sta dimostrando è che il fratello grande, ora, siede a capo del Partito comunista cinese.

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