Massimiliano Allegri non è più l’allenatore della Juventus. La furia post vittoria della Coppa Italia è costata cara al tecnico livornese, esonerato dalla società a due giornate dalla fine della sua ottava stagione in bianconero, la terza del cosiddetto “Allegri Bis“. Si chiude così nel peggiore dei modi, con un rosso rimediato nei minuti finali, le minacce denunciate dal direttore di Tuttosport Vaciago e la distruzione del materiale degli operatori di LaPresse, un’esperienza che si sarebbe potuta chiudere nel migliore dei modi: alzando un trofeo, seppur “solo” la Coppa Italia. Una Coppa Italia in tre anni è un bilancio fallimentare per un club come la Juventus? Magrissimo, non c’è ombra di dubbio, ma rovesciando i termini della questione si potrebbe dire che il valore dell’ “Allegri 2” , e quindi di quella misera Coppa Italia in tre anni, sia superiore a quello dell’ “Allegri 1” dunque dei cinque scudetti consecutivi, quattro Coppe Italia, due Supercoppe Italiane e due finali Champions.
Eresia? Forse, ma vanno contestualizzati i periodi storici opposti tra l’Allegri 1 e l’Allegri 2. Chiamato a gestire il dopo Conte nel 2014, con una Juve che già vinceva e già con un organico di livello, impreziosito man mano dall’opera di Marotta: Evra dallo United praticamente a zero, Morata dal Real. Vinse lo Scudetto, arrivò in finale Champions. Uno schema che si è ripetuto fino al 2019 con la rosa che però andava impreziosendosi: Dybala, Mandzukic, Khedira, Alex Sandro, poi Pjanic, Cuadrado, Higuain, Bernardeschi, Douglas Costa, Szczesny fino all’arrivo di Cristiano Ronaldo. Il campionato l’ha vinto sempre: doveroso considerando il contesto delle milanesi in difficoltà nella transizione dalle epoche morattiane e berlusconiane e le fasi altalenanti di Napoli e Roma, che pure hanno dato non poco filo da torcere ai bianconeri. La Champions, invece, il grande sogno in quella fase di grandeur juventina, non è arrivata nonostante le due finali: a tutti gli effetti un obiettivo mancato, imputato ad Allegri così come la mancanza di un gioco gradevole. Elementi che portarono la dirigenza bianconera a virare su Sarri.
L’Allegri 2 invece è arrivato in una fase completamente diversa: più che rinforzare la squadra, la priorità è rinforzare il bilancio, messo in ambasce dall’arrivo di Cristiano Ronaldo, e dunque cedere, abbassare gli ingaggi e puntare non più su campioni conclamati, ma cercarli per il futuro, concedendosi un sacrificio magari per un 21enne come Dusan Vlahovic e guardando al serbatoio della Next Gen. E se fino al 2019 vincere scudetti era il minimo sindacale e la Champions l’obiettivo conclamato, dal 2021 le carte sono cambiate e l’asticella si è abbassata dalla vittoria alla partecipazione alla massima competizione europea, con lo scudetto divenuto una possibilità e non più un dovere. Obbligatoria, al contrario, la valorizzazione dei tanti ragazzi sparsi tra prestiti e Next Gen. E le qualificazioni all’Europa sono arrivate, al netto della penalizzazione certo non imputabile al tecnico livornese; allo stesso tempo sono stati tanti i ragazzi che hanno indossato la maglia bianconera da sconosciuti e hanno visto aggiornarsi con la freccina verde accanto il loro valore su Transfermarkt: da Soulè a Miretti, da Iling Junior a Barrenechea, da Kenan Yldiz a Nicolussi Caviglia fino a Cambiaso.
Certo non si può dire che ne sia venuto fuori uno spettacolo divertente: in un decennio in cui il calcio ha vissuto cambiamenti epocali con allenatori che pur rimanendo sulla cresta dell’onda hanno stravolto tattiche e filosofie di gioco – tra il Barcellona e l’ultimo City di Guardiola c’è il nulla in comune, eppure sono squadre figlie dello stesso allenatore e che hanno fatto da apripista nei cambiamenti del calcio – , Allegri non si è discostato dal suo “corto muso”, che oggi porta più perplessità di ieri e zero novità tattiche. Ma al netto di un calcio non memorabile, di una gestione del post vittoria della Coppa Italia rabbiosa e poco lucida, si può dire che in una visione meramente aziendalista Allegri abbia centrato gli obiettivi più in questa sua seconda esperienza bianconera che nella prima. Lascia vincendo alla sua maniera, con un uno a zero frutto di una giocata e di accortezza difensiva, un trofeo, la quindicesima Coppa Italia, che di certo non porterà lacrime di commozione nella platea juventina, ma che in barba a quel “vincere è l’unica cosa che conta” oggi mero slogan, non era scontato.
Non era scontato lasciare in Champions una Juventus non irresistibile e mai così povera di campioni da fine anni ’80 e non era scontato. Non era scontato lasciare alla squadra un Cambiaso che all’arrivo alla Juve aveva un valore di 8 milioni e oggi ne vale 25, un Yldiz che ne vale 30, o aver rivitalizzato un Rabiot che era in lista di sbarco. Insomma se con Bonucci, Chiellini e Higuain quegli scudetti erano pure troppo poco, oggi quella Coppa Italia e i soldi che arriveranno da Champions ed eventualmente da qualche cessione sono una nota di merito per il tecnico livornese. E la nota di merito dei cinque scudetti consecutivi era stata la chiave per l’Allegri bis, per come si è chiusa, invece, difficilmente Coppa Italia e aziendalismo saranno utili per un Allegri ter, un domani.