Il 17 maggio di quest’anno segna un regresso preoccupante, per quanto riguarda i diritti umani della comunità arcobaleno, in Italia. Secondo il report di Ilga Europe, l’associazione internazionale che riunisce centinaia di gruppi Lgbt+, il nostro paese scivola al 36esimo posto in direzione dei paesi meno “friendly”, perdendo ben due posizioni (e andando sotto l’Ungheria di Orban e altri stati non proprio in prima linea sui diritti civili).
L’Italia è al livello della Georgia, luogo in cui – ricordiamo – la gente scende in piazza per evitare leggi filorusse che impediscano qualsiasi tipo di dissenso. L’Italia è stata altresì superata da molti paesi dell’ex blocco sovietico, dalle repubbliche baltiche all’Albania. Ed è parecchio al di sotto del resto dell’occidente democratico.
Un peggioramento che va letto in modo ampio e circostanziato. Si potrebbe dire, infatti, che l’Italia è una democrazia solida, uno stato di diritto e di cultura occidentale. Abbiamo avuto le unioni civili otto anni fa e, apparentemente, non ci dovrebbero essere grossi problemi per le persone Lgbt+, visto che i diritti fondamentali sono garantiti. Cosa giustificherebbe, dunque, questo quadro cupo?
Innanzitutto, le scelte del governo Meloni. Per Ilga l’azione dell’esecutivo e della maggioranza che lo sostiene è sistematicamente avversa alla comunità Lgbt+ italiana. L’attacco alle famiglie omogenitoriali, la legge contro la GPA, i continui attacchi alla comunità transgender, le dichiarazioni ostili di esponenti di punta della destra costruiscono un quadro culturale che non aiuta a garantire benessere e uguaglianza.
“I crimini d’odio anti-Lgbt, tra cui stupri, aggressioni, omicidi e percosse, sono continuati e si sono intensificati da quando il governo Meloni è salito al potere” riporta ancora il report di Ilga. Negli ultimi 12 mesi si è registrato “il periodo di maggior violenza che la comunità abbia dovuto affrontare, inclusi tre suicidi e tre omicidi. Diverse persone sono state aggredite fisicamente”. E si ricorda ancora che “a maggio” dello scorso anno “tre agenti di polizia hanno picchiato brutalmente una donna trans migrante in un attacco razzista e transfobico a Milano”.
Ilga Europe sembra avere pochi dubbi su chi ricadono le responsabilità di tale arretramento: siamo di fronte a un quadro politico largamente ostile, insomma, a cui si accompagna un contesto sociale violento e dominato da sentimenti di disprezzo verso la comunità arcobaleno. Il tutto alla vigilia del Pride month e delle elezioni europee di giugno prossimo. Due appuntamenti che devono fare riflettere profondamente la comunità Lgbt+ su un paio di questioni.
Innanzitutto, occorrerà andare a votare, abbandonando il nichilismo elettorale tipico di un certo elettorato democratico (forse non sono tutti uguali, non su questo piano almeno). Scegliendo partiti europeisti e democratici, liberali o di sinistra che si voglia. È una questione di sopravvivenza. Se l’Ue dovesse cadere sotto le mani dell’estrema destra, le condizioni della nostra comunità – e a cascata di donne, persone migranti e qualsiasi soggettività non conforme alla narrazione sovranista – peggioreranno ulteriormente. Con un rischio enorme per la tenuta democratica dell’intero continente. Ogni voto dato alle destre e ai loro alleati (e c’è da chiamare in causa anche il Partito Popolare) va dunque considerato un atto contro le nostre vite.
In secondo luogo, bisogna tornare a scendere in piazza con le nostre marce dell’orgoglio che abbiano una maggiore valenza politica: più radicale. Per anni la comunità si è accontentata delle mancette a diritti dimezzati di una classe politica inadeguata rispetto alle legittime richieste di diritti. E i risultati sono davanti ai nostri occhi: il minimo sindacale delle unioni civili, per di più depotenziate sul piano della genitorialità, avrà risolto i problemi sul piano privato delle persone omosessuali, ma non ha impedito un peggioramento delle condizioni di vita dell’intera comunità. Gli aspetti rivendicativi e le pressioni politiche dovranno essere, da ora in poi, estremamente più radicali e occorrerà tenere molto alto il livello dello scontro politico.
Il 17 maggio si celebra la giornata contro l’omo-lesbo-bi-transfobia. Oggi dovremmo ricordare che quei sentimenti di avversione non sono una categoria lontana, che alberga in menti rozze e retrograde chissà dove. Fanno parte di un presente che si traduce anche in scelte politiche contro di noi. Abbiamo due strumenti per fare resistenza: la piazza e la cabina elettorale. Usiamole, al meglio.