Salute

I nostri dati sanitari sono al sicuro? L’ultimo furto digitale mi lascia basito

Sono proprio sull’orlo di una crisi di nervi, non solo perché partecipo a tutte le puntate del nuovo programma di Piero Chiambretti il martedì in prima serata su Rai3 fra gli amici medici dell’istrionico conduttore, ma soprattutto perché ancora una volta abbiamo appreso che i nostri dati sanitari possono andare in mani improprie. Era già successo ed io in particolare ne parlo da circa dieci anni. Vi ricordo che, grazie all’intervento dell’allora Garante della Privacy Antonello Soro, feci bloccare una delibera della Regione Lombardia, già firmata dall’allora Presidente Roberto Maroni, che permetteva ad enti esterni a Lombardia informatica, non solo pubblici, di visionare i dati sanitari di dieci milioni di cittadini italiani.

Ma quello che ho letto sull’ultimo attacco hacker mi lascia ancora basito.

Tutto è iniziato il 18 aprile, quando i pazienti del network europeo di fornitura di servizi di diagnostica medica, si sono accorti che la piattaforma era bloccata, non riuscivano a effettuare prenotazioni e scaricare i propri referti medici. Poco dopo arriva la nota dell’azienda: “Synlab informa tutti i Pazienti e i Clienti di aver subito un attacco hacker ai propri sistemi informatici su tutto il territorio nazionale”.

Synlab gestisce circa 35 milioni di esami, dai prelievi del sangue ai check up. La diffusione dei dati sanitari include cartelle cliniche con referti, terapie, diagnosi, ed ecografie. Informazioni preziose che potrebbero anche essere utilizzate per attività criminali o per ricattare direttamente le persone a cui sono stati sottratti i dati.

E non parliamo del fascicolo sanitario elettronico che in questi giorni preelettorali è tornato all’attenzione di tutti con diversi spot televisivi. Soldi del Pnrr che non si capisce bene dove finiranno visto che si studia il fascicolo da almeno dieci anni e la tessera sanitaria dei servizi da almeno venti senza assolutamente avere nulla di reale. Una mia collega pneumologa mi ha spiegato che ha visto nei giorni scorsi un paziente che non le ha portato l’esame richiesto e gli ha detto: “Aspetti, glielo faccio vedere sul mio fascicolo”. Dopo mezz’ora stava ancora cercando di scaricarlo dal server.

Con il mio progetto History Health certificato (di cui vi ho parlato più volte) la gestione dei dati diventa soggettiva e la visione ed integrazione automatica con l’autenticazione attraverso l’impronta digitale.

Insomma non si vede soluzione alla gestione di terzi secondo me. I dati sanitari devono essere lasciati al cittadino che li farà vedere a chi vuole e quando vuole lui. Lasciamo solo agli operatori sanitari la facoltà di poterli visionare e modificare quando non siamo presenti per un trauma o per una emergenza. Altro che fascicolo sanitario elettronico che non sappiamo chi e come può utilizzarlo. Durante il periodo della pandemia History Health probabilmente sarebbe stato molto utile anche a salvare vite umane. Pensate a tutte le persone che si sono recate al Pronto Soccorso sole e senza una anamnesi storica. Il personale avrebbe potuto vedere tutta la storia clinica semplicemente alzando il dito del cittadino paziente.

Lasciamo i dati sanitari esclusivamente sulla punta delle dita dei cittadini. Non avremo la certezza assoluta della riservatezza ma almeno non ci sarà una sottrazione in massa. E non serve l’intelligenza artificiale, il sistema esiste già. A qualcuno interessa o gli interessi sono altri?