L’isola disabitata più remota del globo: un puntino disperso nell’Atlantico meridionale. Due fratelli che si mettono in testa di colonizzarla facendo affari con le sue ricchezze, cioè pelli e grasso di foca. Lunghi mesi di scontro con le forze naturali, il freddo, la fame. L’isola Inaccessibile (Ciost Edizioni) ha tutti gli ingredienti di un romanzo d’avventura. Invece è la storia vera raccontata in un libro che ha avuto a sua volta una vita avventurosa. Edito nel 1952 in Sudafrica con il titolo Shelter from the spray, per la firma del divulgatore Eric Rosenthal, dopo oltre 70 anni viene tradotto in italiano grazie a un giornalista ossessionato da isole e atolli, Francesco Moscatelli. Che raccogliendo informazioni su Inaccessible Island, ex vulcano spento avvistato per la prima volta a metà del 1600, ha scoperto quel testo perduto con in copertina una scogliera a strapiombo sul mare e una minuscola capanna sulla spiaggia. E ha deciso di farlo riemergere dall’oblio pubblicandolo in Italia, dopo fortunose telefonate a Cape Town per rintracciare gli eredi dell’autore e acquistare i diritti.
Una fascinazione, spiega nella postfazione, rafforzata dalle caratteristiche dei due protagonisti, i tedeschi Frederick e Gustav Stoltenhoff: la fame di conoscenza dei grandi esploratori e la testardaggine nel mettersi alla prova, unite alla capacità di accettare il fallimento “come se fosse semplicemente una delle possibilità, uno degli esiti da mettere in conto senza patemi”. Così nel 1873, dopo ventitrè mesi di permanenza, i due abbandonarono l’isola approfittando di una nave di passaggio diretta in Sudafrica.
Quei quasi due anni ancora oggi valgono loro il record di sopravvivenza sull’isola più remota dell’arcipelago più lontano da qualsiasi continente, Tristan da Cunha: 2.810 chilometri a ovest di Città del Capo, quasi altrettanti dalle coste argentine, a una latitudine nota per le tempeste frequenti.
Nell’epoca in cui “tutti vanno dappertutto”, come scrive Moscatelli, lì arriva solo chi è molto tenace: occorre aspettare la partenza dalla capitale sudafricana del postale Elizabeth e prepararsi a diversi giorni di navigazione, meteo permettendo. Inaccessible island è altri 40 chilometri più in là. Poco più piccola di Caprera, è un altopiano vulcanico dai bordi scoscesi con tre piccole spiagge, oggi santuario Unesco per proteggere la ricca fauna di pinguini crestati, albatros, procellarie e altri uccelli marini. A inizio ‘800 i cacciatori di foche ci avevano introdotto anche maiali e capre per avere una fonte di sostentamento. Ma fino al 1871 gli unici esseri umani ad averci trascorso più di qualche settimana erano stati, cinquant’anni prima, i naufraghi della Blenden Hall della Compagnia britannica delle Indie orientali, recuperati cinque mesi dopo dalla nave Nerinea.
L’arcipelago è parte del territorio britannico d’Oltremare che porta il nome di Sant’Elena, Ascensione e Tristan da Cunha: ne fa parte anche l’isola dove Napoleone fu esiliato fino alla morte, dopo Waterloo. È lì che Frederik e Gustav a fine 1871 attendono per alcuni mesi un passaggio per Tristan. Sono partiti da Aquisgrana, hanno viaggiato in treno e poi per nave via Rotterdam e Southampton. Frederick, impiegato in una ditta di commercio tessile fino alla chiamata alle armi durante il conflitto franco-prussiano, era tornato da poco dal fronte. Gustav, marittimo, era rientrato a casa a sua volta dopo il naufragio della carboniera su cui si era imbarcato neanche diciannovenne come alternativa al reclutamento. Lui e gli altri sopravvissuti erano stati ospitati per mesi dagli abitanti di Tristan, discendenti dei primi colonizzatori e di due naufraghi originari di Camogli, Andrea Repetto e Gaetano Lavarello. Di lì – complice una delusione amorosa – il suo progetto di cercar fortuna su Inaccessible Island.
La vita da Crusoe dei due fratelli sull’isola è tutta da leggere. Completamente impreparati alla caccia alle foche che era l’obiettivo della spedizione, all’inizio poco inclini a dedicarsi alle necessità pratiche e tentati di abbandonarsi a una vacanza nella mezza estate dell’Emisfero Sud, incontreranno difficoltà inattese. Comprese le rappresaglie dei dirimpettai della vicina Tristan. Fino alla decisione di gettare la spugna, fiaccati dalla mancanza di cibo. L’impresa era andata male ma gli Stoltenhoff, racconta Rosenthal, non si sentivano falliti. Perché da allora “alla latitudine di 37 gradi e 25 minuti sud, longitudine 12 gradi e 32 minuti ovest, a circa un chilometro e mezzo dall’isola dell’Usignolo, sulle mappe ufficiali della Marina di trova l’Isola Stoltenhoff“. Poco più che qualche scoglio, quanto basta per l’orgoglio di un avventuriero.