Duma rewind: gli arresti d’oro, il valzer delle nuove nomine ai tecnocrati, l’arrivo dei giovani e rampanti “figli di” al Cremlino. Putin ha inserito nuovi pedoni nei posti chiave della scacchiera del potere di Mosca con un’alterità inaspettata rispetto ai mandati precedenti, ma con una chiara strategia. Il Cremlino punta tutto sulla sua Difesa, sul suo complesso militare industriale: la guerra non finirà. Non a breve.
È stato lo stesso Putin a spiegare perché ha nominato Andrey Belousov nuovo ministro della Difesa: “capisce cosa è necessario fare per integrare l’economia dell’intero blocco di sicurezza”, la Difesa è un “anello chiave dell’economia complessiva”, “a causa dell’esponenziale crescita delle spese per difesa e sicurezza che ammonteranno a poco più dell’8,7% nel 2024”.
Già consigliere del presidente nel 2013 e vice premier nel 2020, Belousov è un alfiere della “putinconomia”, ha aiutato la Federazione ad aggirare il blocco sanzionatorio che, a tenaglia, ha colpito Mosca dall’inizio del conflitto. Figlio d’arte (suo padre Rem era un famosissimo economista sovietico), sarà il “manager”della guerra: ottimizzerà le risorse per razionare e razionalizzazione spese fuori controllo. Come il predecessore non arriva dai ranghi dell’esercito, ma dall’Mgu, università di Mosca. È un convinto anti-occidentale, ma mai eccessivo e pirotecnico come certi falchi (quali Medvedev, l’ex presidente).
Un economista a capo della Difesa conferma che la guerra, per la Russia, è soprattutto economia. Statista duro e puro, ha soprattutto il curriculum candido quanto i capelli color latte: non lo inseguono scandali e accuse di corruzione che hanno colpito nelle ultime settimane il ministero della Difesa che ora guiderà. Putin ha “bonificato” il dicastero prima delle nuove nomine: oltre all’arresto del viceministro Ivanov, “cassiere” del clan Shoigu accusato di corruzione, in sordina è passato il fermo, per il medesimo reato, del capo della direzione principale Kuznezov.
Il pochissimo amato Shoigu è stato demansionato, ma non punito, nonostante tutti gli errori commessi dall’inizio della guerra nel 2022. L’amico personale del presidente ottiene la guida del Consiglio di sicurezza della Federazione (organo non decisionale, ma cruciale per i potentissimi che siedono intorno al suo tavolo) e prende il posto di Nikolay Patrushev, che lascia la carica per diventare “solo” assistente di Putin.
Patrushev indietreggia, ma solo formalmente: è il suo clan che avanza. Suo figlio Dimtry, già ministro dell’agricoltura, scala la Duma e finisce nel nuovo team del premier tecnocrate Mishustin. Insieme a lui Tatiana Golikova e Denis Manturov, già ministro dell’Industria e delfino di Sergey Chemezov (che con Putin e come Putin faceva la spia in Germania est e ora guida Rostec).
Il cambio di guardia generazionale è lento ma procede: oltre ai Patrushev, raddoppiano i Kovalchuk. Il figlio di Yuri, Boris, diventa capo della direzione del controllo presidenziale. Anche Aleksey Dyumin, l’ex guardia del corpo di Putin ed ex governatore di Tula, già vice alla Difesa e vice dei servizi segreti Gru, è stato richiamato a Mosca come assistente presidenziale. Nella stessa schiera anche un altro favorito: Maksim Oreshkin, che era già consigliere. Al marito di una nipote del presidente, Sergey Tsivilev, ex governatore di Kermeorovo, il ministero dell’energia. Kiriyenko, a capo dello staff presidenziale, è rimasto al suo posto, come un volto impopolare della guerra: il generale Valery Gerasimov. A confermarlo lo stesso presidente: “nessun cambiamento per lo Stato maggiore e la sua intera struttura, che garantisce operazioni di combattimento”.
Del post-Putin non si parla e nemmeno si dice: il numero uno si mantiene lontanissimo da qualsiasi potenziale successore o numero due. A Mosca tutti hanno un sostituito, tranne lui.