La proposta arriva da Mosca, ma ha prima ricevuto l’approvazione a Pechino. Vladimir Putin apre a colloqui di pace con l’Ucraina e lo fa tornando indietro di oltre due anni, a quella bozza di fine marzo 2022 redatta a Istanbul sulla quale sembrava si fosse trovata l’intesa per un cessate il fuoco che avrebbe fermato la guerra in poco più di un mese. Un accordo che, secondo testimonianze di persone presenti a quei vertici sentite da Foreign Affairs, naufragò anche a causa dell’aumento del sostegno occidentale a Kiev, alla convinzione che questo diede a Volodymyr Zelensky di poter veramente respingere l’attacco dell’invasore e, pochi giorni dopo, dal massacro di Bucha per mano dei militari russi. Adesso toccherà a Kiev e ai suoi alleati rispondere: ma a 20 giorni dalle elezioni europee la cancellerie rischiano soltanto di subire ripercussioni dal punto di vista elettorale.
I punti della proposta
Putin, parlando con i giornalisti nella città cinese di Harbin, ha ricordato i punti sui quali Kiev e Mosca avevano cominciato a discutere, con la Russia, sostiene, che aveva accettato di ritirare le sue truppe dalla regione di Kiev, ma subito dopo gli ucraini “si sono ritirati dal processo negoziale”. Alcuni mesi fa, il capo negoziatore ucraino a Istanbul, David Arakhamia, aveva detto che il governo Zelensky aveva deciso di abbandonare i negoziati per varie regioni, tra cui le pressioni dell’allora premier britannico Boris Johnson. “Siamo stati ingannati – ha detto – e ora dobbiamo capire quanto e di chi possiamo fidarci e stiamo analizzando tutto quello che succede in questa direzione”. La bozza di Istanbul prevedeva di mettere a punto meccanismi per la sicurezza dell’Ucraina con garanzie fornite da diversi Paesi – tra cui l’Italia – mentre si ipotizzava che i negoziati sul futuro della Crimea e del Donbass potessero durare fino a 15 anni.
I movimenti diplomatici
La tempistica, in questo caso, è di fondamentale importanza. L’annuncio arriva dopo che si erano già registrati notevoli movimenti in campo diplomatico. Prima il presidente cinese Xi Jinping, principale partner e sostenitore di Mosca in campo economico e nella fornitura di tecnologie dual use (ossia utilizzabili sia in campo civile che militare), ha deciso di compiere il suo primo viaggio in Europa dallo scoppio della pandemia di coronavirus. E la scelta dei Paesi non è passata inosservata: la Francia del presidente Emmanuel Macron, che in questi mesi era arrivato a ipotizzare l’utilizzo di truppe europee su suolo ucraino, e due Stati tra i più vicini al Cremlino, la Serbia e l’Ungheria. Proprio la trasferta di Belgrado si rivelerà fondamentale: qualche giorno dopo, a incontrare il presidente serbo saranno, a sorpresa, anche la first lady ucraina, Olena Zelenska, e il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba. L’oggetto ufficiale dell’incontro è l’assistenza umanitaria alla popolazione colpita dalla guerra, ma la presenza della moglie di Zelensky e del capo della diplomazia in un Paese storicamente nell’orbita di Mosca dimostra che sottotraccia le parti avevano iniziato a parlare.
Infine, l’ultimo bilaterale tra Putin e Xi Jinping che ha sancito la “necessità di una soluzione politica” in Ucraina e di “evitare un’escalation del conflitto”. È proprio a Pechino che si è decisa la nuova linea da tenere sulla guerra e le parole di oggi potrebbero essere solo il primo passo di una nuova strategia alla quale anche il blocco occidentale dovrà rispondere.
Da parte sua, Putin mette sul piatto alcune rassicurazioni. Sempre che intenda rispettare le promesse. Nel suo intervento ha dichiarato che “ad oggi non abbiamo piani per la conquista di Kharkiv” e che l’offensiva nell’oblast ha come obiettivo quello di creare “una fascia di sicurezza” in Ucraina per fermare gli attacchi sulla regione russa di Belgorod.
La tregua olimpica
Tra le discussioni avute con Xi Jinping, Putin dice ci sia stata anche quella sulla tregua olimpica chiesta da Macron nel corso dell’incontro col leader cinese. “Xi Jinping me ne ha parlato, abbiamo discusso della questione”, ha detto Putin. Un’ipotesi che però viene bocciata da Volodymyr Zelensky: “Abbiamo già avuto un cessate il fuoco, ma con questo nemico non funziona molto bene. Chi registrerà che durante il cessate il fuoco le loro forze non si avvicineranno a noi? Un cessate il fuoco non impedisce ai mezzi militari di avvicinarsi e poi lanciare un’offensiva. A me sembra una storia morta”.
Palla al blocco occidentale
Le tempistiche, appunto, in questo frangente diventano fondamentali. Non solo, come detto, per ciò che è avvenuto nelle ultime settimane da un punto di vista diplomatico, ma anche e soprattutto per quello che invece dovrà accadere in questi mesi. In particolar modo, a preoccupare le cancellerie europee e americane sono le imminenti elezioni, a giugno, per il rinnovo delle istituzioni brussellesi, e a novembre per la corsa alla Casa Bianca. Mancano circa 20 giorni alla chiamata alle urne della popolazione dell’Unione europea e il dossier ucraina, nonostante non si trovi, almeno secondo i sondaggi, in cima alle priorità dei cittadini, rischia di diventare un problema per i governi e i vertici europei che hanno spinto senza sosta per un sostegno incondizionato alla causa di Kiev.
Dopo oltre due anni di guerra durante la quale l’invio di armi e di miliardi di euro sono stati giustificati con la necessità di vincere la guerra, di ricacciare l’invasore oltre i propri confini, sedersi al tavolo con al passivo diverse perdite territoriali darebbe alle forze che si sono opposte a questa strategia, per motivi diversi, materiale per la propria campagna elettorale. Le principali famiglie partitiche Ue, nei loro programmi, usano il conflitto ucraino come caso per motivare la necessità di una spesa congiunta europea nel settore degli armamenti e l’ambizione di creare una Difesa comune. In caso di trattative, questo progetto perderebbe spinta. Così come la perderebbero gli appelli al sostegno incondizionato a Kiev. Con questa proposta, Putin mette le cancellerie europee di fronte a una scelta che, però, offre solo opzioni che potrebbero danneggiarle a livello elettorale: accettare di sedersi a un tavolo, lavorando per mettere fine alla guerra ma sbugiardando di fatto oltre due anni di proclami, oppure rifiutare l’offerta e trasformarsi, di conseguenza, in coloro che non hanno voluto mettere fine a un conflitto che ha causato migliaia di morti civili. Rimanere in silenzio per 20 giorni in attesa di arrivare al voto, invece, non sembra una strada praticabile.