È l’esperienza che unisce e riguarda tutti, a tutte le latitudini e in ogni contesto sociale. Eppure, il parto resta avvolto in un non-detto che lo rende un tabù fra i più imperscrutabili. Uno degli aspetti meno raccontati è quella dei parti traumatici, su cui tuttora quasi ovunque mancano studi e dibattito.

A meno che ad essere toccata non sia la politica. Di birth trauma, la parlamentare britannica Theo Clarke, deputata conservatrice della circoscrizione rurale di Stafford, non sapeva niente prima di viverlo. Da quando l’ha subito si è messa alla testa di un gruppo parlamentare bipartisan (APPG) che utilizza gli strumenti del Parlamento per colmare un totale vuoto legislativo e che è composto anche da padri coinvolti in prima persona,

A gennaio l’APPG ha tenuto un primo dibattito alla Camera dei Comuni, dando il via ad una consultazione aperta al pubblico che si è chiusa a febbraio. Risultati e raccomandazioni sono state presentati nel primo rapporto sul trauma da parto, Listen to Mums: Ending the Postcode Lottery on Perinatal Care. Ascoltare la madri: porre fine alla lotteria da codice postale sull’assistenza perinatale.

È la sconvolgente fotografia di una realtà sotto gli occhi di tutti, eppure nascosta, come notano proprio i relatori nella introduzione: “Per ogni genitore, avere un figlio è uno dei momenti più importanti e memorabili della loro vita. Quando qualcosa di inaspettato accade durante una gravidanza o un parto, questo può portare a conseguenze fisiche e psicologiche durature che spesso rimangono sconosciute e di cui non si parla. Questa Inchiesta sul Trauma da Parto è, nella sua forma più semplice, un tentativo di rompere questo tabù e condividere pubblicamente le storie e le esperienze di madri e padri, avviando una discussione pubblica sulle realtà del parto e su come possiamo migliorare concretamente i servizi di maternità.”

I dati: ogni anno, nel Regno Unito, 25.000-30.000 neo madri sviluppano PTSD, sindrome post traumatica da stress. Un numero molto maggiore, fino a una su tre, trova traumatici alcuni aspetti della propria esperienza. Il 53% delle donne che hanno vissuto un trauma da parto è meno propenso ad avere figli in futuro e l’84% di quelle che hanno subito lacerazioni non ha ricevuto in anticipo informazioni sufficienti sull’eventualità di lesioni.

Questi dati sono stati raccolti grazie all’attivismo di associazioni come la Birth Trauma Association, la primissima ad offrire supporto alle famiglie colpite e a tentare una definizione, ancora imperfetta.

Quella recepita dal gruppo parlamentare descrive il birth trauma dal punto di vista dei sintomi fisici o psicologici: aver sentito paura o perdita di controllo durante il travaglio o il parto; provato un enorme senso di perdita perché il tuo bambino è stato portato immediatamente in terapia intensiva; sofferto perdite durante la gravidanza o avuto un bambino nato morto; sostenuto lesioni fisiche come lacerazioni di 3° o 4° grado che hanno avuto un impatto duraturo; provato un intenso disagio riguardo all’allattamento.

Ma i dati sono solo la sintesi asettica di un diluvio di storie di sofferenza e abusi ospedalieri. Oltre che sulla consulenza di esperti, il rapporto è ampiamente basato sulla rielaborazione delle centinaia di testimonianze, molte anonime, arrivate ai parlamentari: raccontano la mancanza di consenso informato, pressioni ad accettare alcune procedure invece di altri, maltrattamenti, discriminazioni razziali, negligenza medica, assenza di supporto medico o psicologico. Pongono, cioè, il tema scomodissimo delle inadeguatezze dei reparti maternità, già documentati di recente in una inchiesta di Bbc Panorama.

Su questa base, i parlamentari ora chiedono al Governo del Regno Unito di pubblicare una Strategia Nazionale di Miglioramento della Maternità, guidata da un nuovo Commissario per la Maternità che dovrebbe riferire al Primo Ministro, e ne delineano le linee guida.

Essenziale, il reclutamento e la formazione di un maggior numero di ostetriche, ostetrici e anestesisti “per garantire livelli sicuri di personale nei servizi di maternità e fornire formazione obbligatoria sulla cura informata dal trauma”.

Poi, garantire accesso universale ai servizi specialistici di salute mentale materna in tutto il Regno Unito per porre fine alla disparità geografica e offrire a tutte le madri un controllo separato a 6 settimane dopo il parto con un medico di base, che includa domande sulla salute fisica e mentale della madre rispetto a quella del bambino.

Al centro della strategia c’è un’osservazione apparentemente banale, ma così cruciale da essere diventata il titolo dell’inchiesta: le madri vanno ascoltate. Bisogna informarle, dare loro la possibilità di una scelta informata, accompagnarle nella maternità prima e dopo il parto, coinvolgere i loro partner, garantire continuità di cure, eliminare le discriminazioni razziali o le barriere linguistiche che rendono le donne di alcune nazionalità ancora più vulnerabili.

E poi, affrontare un tabù nel tabù. Estendendo il limite di tempo per il contenzioso per negligenza medica relativo al parto da tre a cinque anni e commissionando una ricerca sull’impatto economico del trauma da parto e delle lesioni, inclusi fattori come il ritardo delle donne nel ritorno al lavoro.

Ispirandosi ad una inchiesta simile del parlamento neozelandese, quello britannico ha almeno avviato un dibattito pubblico su un tema che riguarda famiglie di tutto il mondo. In Italia? Malgrado quello della violenza ostetrica sia una tema che riempie occasionalmente le pagine di cronaca, la politica e l’associazionismo se ne occupano a corrente alternata. Fra le poche eccezioni AMINa, creata “da un gruppo di professioniste di diversi settori specificamente con l’intento di garantire ad altre donne una esperienza di parto felice e sicura”, che raccoglie e pubblica esperienze di parto e organizza eventi di sensibilizzazione al fenomeno del Birth trauma.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Robert Fico qui a Bratislava è come un fantasma: forte nei paesi, o lo ami o lo detesti

next