Si stringe ulteriormente la morsa manovrata dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan nei confronti dei politici curdi, sulla base di accuse prefabbricate per la loro collaborazione con il Pkk di Ocalan. Mentre il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, stava rientrando dalla visita di Stato in Iraq per suggellare con il governo centrale di Baghdad e di Erbil la messa al bando dei guerriglieri del Pkk ( in buona parte fuoriusciti nel 2013 sulle montagne irachene confinanti con la Turchia), l’ex parlamentare di etnia curda e cofondatore del partito filo curdo Democratico dei Popoli (Hdp), Selahattin Demirtas è stato condannato a 42 anni di carcere per vari reati, in primis terrorismo per le proteste e la battaglia di Kobane del 2014.

Chiamato il “Mandela curdo”, l’avvocato specializzato in protezione dei diritti umani si trova già dietro le sbarre dal 2016 dopo aver portato per la prima volta nella storia turca un partito filo curdo a sedere in parlamento. Dallo scorso anno il partito è stato costretto a cambiare nome e sigla, ovvero partito per l’Uguaglianza e la Democrazia dei Popoli ( DEM), per sfuggire alla persecuzione giudiziaria su input dell’esecutivo guidato da Erdogan. In tutto sono stati condannati 108 membri dell’ex Hdp che ora rischiano l’ergastolo aggravato. Non appena la 22esima Corte penale di Ankara ha annunciato il suo verdetto, gli avvocati degli imputati si sono allontanati per protesta, mentre i parlamentari DEM si sono rifiutati di lasciare l’Aula.

A Demirtas sono stati inflitti 20 anni di carcere per “aver contribuito a indebolire l’unità e l’integrità dello Stato”, 4 anni e 6 mesi per “incitamento a commettere un crimine” e 2 anni e 6 mesi per un discorso a un evento durante Newroz, il capodanno curdo. Condanne aggiuntive sono state spiccate per “propaganda terroristica” in varie occasioni. Per questa ragione è stata ordinata la detenzione continuata. La vicenda di Demirtas e la recente visita di Erdogan in Iraq – la prima in più di 10 anni – mostrano al di là di ogni evidenza che per Ankara il terrorismo è uno solo: quello del Pkk a cui vengono affiliati, ad arte, gli avversari politici curdi o aperti al dialogo con i curdi. Con il pretesto del terrorismo, l’autocrate di Ankara ha colpito e continua a soffocare l’attività politica democratica dei cittadini turchi di etnia curda. Come Demirtas, simbolo di tolleranza e inclusione.

Durante la visita, il ministro Fidan ha sottolineato i passi avanti compiuti dalla Turchia nella lotta al terrorismo insieme all’Iraq, ma ha sottolineato la necessità che il paese affronti le sue sfide. Al termine il Pkk è stato designato ufficialmente “entità vietata all’interno dei confini iracheni”, compresi quelli della repubblica semi-autonoma del Kurdistan iracheno. Una decisione concordata con il clan curdo dei Barzani alla guida di Erbil. Il paradosso o la morale di questi due fatti è che la Turchia accusa di terrorismo coloro che l’hanno combattuto mentre sostiene chi lo perpetra. Come l’Isis e altri gruppi islamisti, Hamas compresa.

A venire condannati dai tribunali turchi ieri sono stati proprio coloro che dieci anni fa avversarono il Califfato Islamico durante la cosiddetta “battaglia per Kobane”, la cittadina curda nel nord della Siria a maggioranza curda situata al confine con la Turchia. Nel settembre 2014, l’Isis, che all’epoca controllava una porzione significativa del territorio siriano, attaccò la cittadina abitata anche da curdi di Turchia per la prossimità geografica. Alla fine di settembre, un gruppo di persone si era recato a Suruç, città turca a maggioranza curda, che sorge di fronte a Kobane, tentando di attraversare il confine per aiutare i “fratelli” . Ma la polizia turca glielo impedí utilizzando gas lacrimogeni e proiettili di gomma.

Fu allora che il presidente Erdogan ne approfittò per equiparare il Pkk all’Isis. Il trattamento però fu ben diverso: i feriti curdi provenienti da Kobane venivano tenuti in attesa al confine mentre quelli dell’Isis venivano curati nei migliori ospedali turchi. Dopo che l’Hdp lanció l’appello a scendere in piazza contro un possibile massacro a Kobane, migliaia di persone presero parte alle manifestazioni indette nelle province a maggioranza curda, nonché ad Ankara e Istanbul. Ne seguirono scontri per le strade tanto che dal 6 al 12 ottobre 2014 persero la vita 42 persone.

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