Il sistema bancario continua a macinare record, dopo un 2023 chiuso con profitti da favola grazie agli alti tassi di interesse. Nel primo trimestre dell’anno i primi sette gruppi bancari del paese – Intesa Sanpaolo, Unicredit, Bpm, Mps, Bper, Popolare di Sondrio e Credem – hanno fatto registrare utili pari a 6,3 miliardi, +25,6% sui primi tre mesi del 2023, rileva un report dell’Ufficio Studi & Ricerche della Fisac Cgil. Nel frattempo il governo, con il decreto sui bonus edilizi, si è mosso per “recuperare” parte dei soldi mai incassati con la fallimentare tassa sugli extraprofitti attraverso lo stop alla possibilità di usare i bonus edilizi per compensare i contributi Inps e Inail, cosa che potrebbe costringere gli istituti a svalutarne il valore. “Al presidente dell’Abi dico che in questo paese tutti fanno sacrifici e che se fanno un po’ di sacrifici anche le banche non è sbagliato”, ha commentato venerdì il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti rispondendo ad Antonio Patuelli che aveva chiesto “correzioni al provvedimento”.
Dopo i risultati da record per i grandi gruppi bancari nel biennio passato, sottolinea la segretaria generale del sindacato Susy Esposito, “molti si attendevano un rallentamento, complice l’attesa discesa dei tassi di interesse. Il ritardo della Bce a diminuire i tassi di riferimento, e di conseguenza la trasmissione di questo ai tassi attivi praticati dalle banche, insieme alla perdurante politica di scarsa remunerazione dei depositi, ha mantenuto elevato il livello dei ricavi dalla gestione del danaro”.
Così il margine di interesse sale ancora, per il campione, di quasi il 7% nei primi tre mesi dell’anno rispetto all’analogo periodo del 2023. La dinamica delle commissioni, per quasi tutti i gruppi, ha accelerato (+5,3%) e spesso deriva dalla spinta alla vendita di prodotti assicurativi ma anche da quelle relative all’amministrazione dei titoli. Il prodotto delle due componenti più significative dell’attività caratteristica bancaria ha spinto ulteriormente verso l’alto i ricavi totali (17,8 miliardi di euro per un +9,8%). I costi del personale, che hanno registrato un aumento del +2,5% derivato anche dal rinnovo del contratto Abi, si mantengono mediamente più elevati rispetto allo stesso periodo del 2023 ma in maniera contenuta – come le spese amministrative – per effetto della capacità delle banche di agire per mantenerli sotto controllo anche politiche di riduzione degli organici e di mancato turn over.
Dal lato delle spese amministrative (-0,5%), la previsione di investimenti in nuova tecnologia, spiega la Fisac Cgil, farebbe pensare ad un incremento di queste ultime anche a scapito della erosione dei margini, fenomeno che invece non si è ancora verificato. Secondo il sindacato viceversa il contenimento delle spese, anche attraverso la politica di chiusura delle filiali, può rallentare il processo di innovazione tecnologica. Per ora il paventato deterioramento del credito, conseguenza dei tassi elevati e del rallentamento dell’economia, pare non avverarsi, almeno nella dinamica delle rettifiche del primo trimestre, che si sono praticamente dimezzate rispetto allo stesso periodo del 2023 (-41%).