Quindicesima Coppa Italia in bacheca, Max Allegri abbraccia i suoi ragazzi, Cristiano Giuntoli applaude e l’allenatore cambia faccia e gli fa segno di andar via. Il gesto è di Allegri, l’esito pratico è tuttavia l’esatto contrario: è Giuntoli ad aver mandato via l’allenatore. Una circostanza che dice molto del manager della Juventus: l’essenza, sua e del suo lavoro è lontana dalla superficie, e in superficie arrivano solo gli effetti.

Raccontato in particolare negli ultimi tempi come un Re Mida del mercato. Erroneamente. Non perché Giuntoli non sia bravo a trovare ottimi calciatori e costruire ottime squadre, lo è. Ed è assolutamente verosimile il racconto di Ancelotti, che per dare un saggio della competenza del suo diesse ai tempi del Napoli spiega di avergli teso una sorta di tranello scherzoso, chiedendogli di un centrocampista turco di terza serie, di cui Giuntoli sapeva tutto.

Il punto è che non sta qui, nello scovare Kvaratskhelia a 10 milioni, l’essenza di Giuntoli. Anzi, ai tempi di Napoli di errori di mercato pure ne ha fatti (Maksimovic, Verdi, Malcuit, Ounas, Rog, Diawara, per dirne alcuni). L’essenza sta in tutto ciò che non è in superficie e che gli è valso una carriera che lo ha visto passare in quattordici anni dalla Serie D a Carpi a instaurare il suo regno alla Juventus.

Il primo atto a Carpi, infatti, NON È un acquisto, ma un addio: per la verità un po’ di più, tredici o quattordici calciatori della precedente gestione da mandar via, per iniziare il nuovo ciclo basato, viste le poche risorse a disposizione con giovani presi a zero, che abbiano fame, con caratteristiche non solo tecniche ma anche e soprattutto mentali tali da farli rendere al meglio in quel determinato progetto. A prescindere da quali siano i dettami e le filosofie tattiche dell’allenatore: che sia una delle massime declinazioni del gioco all’italiana come Castori, o cantori del bel gioco come Maurizio Sarri. L’importante è curare ogni dettaglio, persino dei campi di gioco, persino dei ritiri e degli alberghi, e fare andare ogni casella al proprio posto.

Protagonista assoluto, insomma, ma nell’ombra. Anche a Napoli, dove riesce a convivere (e vincere) per otto anni con un presidente che il protagonismo ce l’ha nel sangue come Aurelio De Laurentiis. Quasi riesce in un capolavoro con Sarri, nel 2018, annata da 91 punti che per la prima volta nella storia non vale uno Scudetto. Ci riesce nel 2023, partendo proprio con delle epurazioni: Insigne, Mertens, Koulibaly, Ospina, Fabian Ruiz, l’ossatura portante di un Napoli meraviglioso, ma di fatto perdente che evidentemente non aveva più nulla da dare.

E con lo scouting (dove “l’ultima parola spetta sempre a me”) arrivano Kvara, Kim e il resto dalla banda che regala lo Scudetto, dove il ruolo di Giuntoli, non è, appunto, solo quello di comprare (e cedere) i calciatori, ma anche quello, difficilissimo più di trovare una perla come il georgiano o come Osimhen, di fare la spola tra gli spogliatoi, l’ufficio del mister e quello del presidente, diventando un punto di riferimento. Venuto meno quel ruolo, infatti (e con lo stesso scouting che a Napoli è restato), il Napoli è crollato.

E il Richelieu toscano alla Juve è chiamato non certo a comprare giocatori, ma a dare un nuovo corso che, appariva evidente ormai da tempo, non passa per Allegri. Appariva evidente per l’elemento più evidente: l’assenza. L’assenza (della società) che ha lamentato Allegri e che l’ha portato a sbottare nell’ultima serata della sua gestione. La prossima Juve dunque sarà la Juve di Giuntoli, non più di Max, ultimo simbolo di una Juve agnelliana, di un vecchio corso fatto di scudetti ma non solo, col non solo che si vuole evidentemente lasciare alle spalle. Una Juve che si alleggerirà di Pogba e del suo stipendio miliardario e che di certo non passerà da acquisti come quello di Ronaldo ma dalla valorizzazione di giovani e di colpi oculati (e di ancor più oculati addii). Cristiano ha deciso che la sua Juve avrà un’altra faccia: quella di Thiago Motta, forse. Almeno in superficie.

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