La colpa è quella di aver espresso sostegno ad Hamas dopo l’intervento israeliano a Gaza, seppure in forma privata, nel suo status su Whatsapp. Per questo Seif Bensouibat, 38enne algerino dal 2013 rifugiato politico in Italia, è stato perquisito nella sua abitazione, indagato, licenziato dal liceo romano Chateaubriand dove lavorava da nove anni e infine condotto al Centro di permanenza per il rimpatrio di Roma Ponte Galeria. E’ incensurato, sia in Italia che in Algeria, ma il permesso di soggiorno gli è stato revocato e adesso è in attesa dell’espulsione. “Inaudito”, ha denunciato l’ex presidente della Commissione parlamentare per la tutela dei diritti umani Luigi Manconi, mentre il presidente del gruppo misto e senatore di Alleanza Verdi e Sinistra, Giuseppe De Cristofaro, ha presentato un’interrogazione parlamentare sulla vicenda.
Parole pesanti, di rabbia per quello che stava accadendo nella Striscia. E in qualche modo uscite dalla dimensione privata della chat in cui erano state espresse. Così a gennaio scatta la perquisizione del Nucleo Antiterrorismo, senza mandato trattandosi di una “perquisizione urgente”, alla ricerca di armi ed esplosivi nonostante si tratti di persona incensurata. Il verbale confermerà che nulla è stato trovato nell’abitazione di Seif Bensouibat, che viene comunque portato in Questura dove la perquisizione passa ai contenuti del suo cellulare, social compresi. Quanto sarebbe accaduto lo ha poi raccontato lui a L’Indipendente. Per due giorni aveva tenuto sul suo stato di Whatsapp la foto del leader di Hamas. “Ho detto alla polizia che, secondo quello che penso, Hamas non è un’organizzazione terroristica ma un gruppo che sta facendo la resistenza: d’altronde, i miei antenati in Algeria, ai tempi del colonialismo, sono stati chiamati ‘terroristi’, ma oggi sono ricordati come grandi figure della storia”. Opinioni, che nel suo caso verranno però valutate diversamente. Quando torna a casa riceve la telefonata dal liceo francese dove lavora come educatore. Il preside gli comunica che, “per motivi di sicurezza“, la polizia avrebbe chiesto di vietargli di tornare al lavoro, richiesta alla quale il dirigente ha aderito.
Il 5 febbraio scorso il suo permesso di soggiorno come rifugiato politico viene rimesso in discussione, mentre a suo carico si apre un’indagine penale per minaccia aggravata, istigazione e propaganda finalizzata alla discriminazione. La polizia torna a casa sua il 16 maggio, questa volta per condurlo al Cpr di Ponte Galeria perché il permesso è stato infine revocato e si attivano le procedure di espulsione. La notizia è arrivata ieri, venerdì 17 maggio, al suo avvocato, Flavio Rossi Albertini, che per tutta la sera ha tentato di mettersi in contatto con Seif. Nei prossimi giorni ci sarà l’udienza di convalida del trattenimento, poi i suoi legali avranno trenta giorni per ricorrere contro il provvedimento di revoca dello status di rifugiato. “E’ paradossale che nel 2013 lo hanno ritenuto meritevole di protezione perché in Algeria la sua vita era a rischio e ora che la situazione nel suo paese non è cambiata di una virgola vogliono rimandarlo lì, di fatto consegnandolo ai suoi carnefici”, ha commentato Rossi Albertini a il Domani, che impugnerà la decisione della Commissione territoriale per impedire l’espulsione di Seif.
“Le opinioni, anche le più lontane dalle nostre, quando restano opinioni, tanto più come in questo caso espresse in forma privata, non debbano costituire un fattore di criminalizzazione”, avevano scritto in una lettera dedicata alla storia di Seif Alessandro Bergonzoni, Giuseppe De Cristofaro e Luigi Manconi. Dopo la notizia del trattenimento nel Cpr, De Cristofaro ha depositato un’interrogazione urgente al ministro dell’Interno e a quello della Giustizia, chiedendo “se non ritengano il provvedimento del tutto abnorme rispetto ai fatti contestati e in violazione del diritto fondamentale alla libertà di manifestazione del pensiero dell’uomo”. Lo stesso ha fatto il vicepresidente di AVS alla Camera Marco Grimaldi: “Questa vicenda è scioccante, non possono accadere simili cose in un paese democratico, ho presentato una interrogazione al ministro Piantedosi”. Decisione “inaudita” per Manconi: “Seif ha vissuto oltre dieci anni in Italia, rispettando sempre le leggi e integrandosi nel nostro sistema di relazioni sociali. Adesso viene espulso dall’Italia per aver inneggiato ad Hamas. Il suo è al più un reato di opinione, che ricorre ad affermazioni per me totalmente inaccettabili ma che sono una manifestazione, sia pure estrema, della libertà di espressione, costituzionalmente garantita”.