Cronaca

Il Papa a Verona: “La pace non sarà mai frutto di muri e armi”. E abbraccia un israeliano e un palestinese che hanno perso parenti in guerra

Papa Francesco è tornato a parlare di pace. Lo ha fatto all’Arena di Verona, davanti ai 10mila spettatori dell’incontro “Arena di Pace – Giustizia e Pace si baceranno”. “La pace non sarà mai frutto della diffidenza, dei muri, delle armi puntate gli uni contro gli altri”, ha detto il pontefice. “Dice San Paolo: ‘Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato’. Non seminiamo morte, distruzione, paura. Seminiamo speranza! È quello che state facendo anche voi, in questa Arena di Pace. Non smettete. Non scoraggiatevi. Non diventate spettatori della guerra cosiddetta ‘inevitabile’. Come diceva il vescovo Tonino Bello: ‘In piedi costruttori di pace!'”.

Francesco era decollato in elicottero alle 6.30 dall’eliporto del Vaticano ed è atterrato poco prima delle 8 nel piazzale antistante lo Stadio Bentegodi. E’ quindi arrivato in auto alla Basilica di San Zeno, dove, come primo appuntamento, ha incontrato i sacerdoti, i religiosi e le religiose. Al termine, in Piazza San Zeno, ha incontrato i bambini e i ragazzi, prima di trasferirsi all’Arena.

Durante l’incontro Francesco ha abbracciato l’israeliano Maoz Inon, al quale sono stati uccisi i genitori da Hamas il 7 ottobre, e il palestinese Aziz Sarah, al quale l’esercito israeliano ha ucciso il fratello, ora amici e collaboratori, applauditi all’Arena con una standing ovation. “Credo che davanti alle sofferenze di questi due fratelli, che è la sofferenza di due popoli, non si può dire nulla – ha detto il Papa -. Loro hanno avuto il coraggio di abbracciarsi. E questo non solo è coraggio, è testimonianza di volere la pace, ma anche è un progetto di futuro, abbracciarsi”. Secondo il Pontefice, “ambedue hanno perso i familiari la famiglia si è rotta per questa guerra. A che serve la guerra? Per favore facciamo un piccolo spazio di silenzio, perché non si può parlare troppo di questo, ma sentire, e guardando l’abbraccio di questi due dentro di sé si preghi si e prenda una decisione interiore per fare qualcosa per far finire queste guerre”.

“Pensiamo ai bambini in questa guerra in tante guerre, quale futuro avranno?”, ha aggiunto. “Abbiamo pensato oggi a quanti bambini e bambine sono costretti a lavorare? Lavoro di schiavo? Quel bambino che forse mai ha avuto un giocattolo”. “Ci sono tanti bambini così che non sanno giocare perché la vita li ha costretti a vivere così. I piccoli soffrono ed è colpa nostra. Siamo tutti responsabili”. “Il Premio Nobel che possiamo dare a tanti di noi – la provocazione del Pontefice -: il Premio Nobel del Ponzio Pilato perché siamo in maestri nel lavarci le mani”.

Il discorso di Francesco è stato tutto basato sul concetto di conflitto. “Se c’è vita, se c’è una comunità attiva, se c’è un dinamismo positivo nella società, allora ci sono anche conflitti e tensioni – ha argomentato il Pontefice -. È un dato di fatto: l’assenza di conflittualità non significa che vi sia la pace, ma che si è smesso di vivere, di pensare, di spendersi per ciò in cui si crede”, ha detto il papa, rispondendo a una domanda sul tema “La pace va sperimentata” formulata dai rappresentanti del Tavolo Disarmo, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio e Sergio Paronetto di Pax Christi.

“Nella nostra vita, nelle nostre realtà, nei nostri territori saremo sempre chiamati a fare i conti con le tensioni e i conflitti”, ha proseguito il Pontefice, e “spesso siamo tentati di pensare che la soluzione per uscire dai conflitti e dalle tensioni sia quella della loro rimozione: li ignoro, li nascondo, li marginalizzo”. Ma “l’esito finale di questo modo di vivere i conflitti è quello di accrescere le ingiustizie e generare reazioni di malessere e frustrazione, che possono tradursi anche in gesti violenti”. “E questo lo vediamo anche nella politica, nella società: quando nella politica si nascondono i conflitti, questi scoppiano dopo”, ha osservato.

Secondo il Papa, “un’altra risposta dal fiato corto è quella di cercare di risolvere le tensioni facendo prevalere uno dei poli in gioco, e questo è un suicidio, perché si riduce la pluralità di posizioni a un’unica prospettiva. Ancora una volta si tratta di un vicolo cieco: si cerca l’uniformità invece che l’unità, si ha paura immotivata nei confronti della pluralità, e psicologicamente quella società si suicida”. Per Francesco, invece, “il primo passo da fare per vivere in modo sano tensioni e conflitti è riconoscere che fanno parte della nostra vita, sono fisiologici, quando non travalicano la soglia della violenza. Quindi non averne paura”. Poi “ricercare in un conflitto le ragioni di ogni parte, quelle emergenti e, se si riesce, anche quelle tenute nascoste, quelle di cui non si è consapevoli appieno”. “Questo è possibile attraverso il dialogo, che è fatto di condividere la pluralità. Il difetto delle dittature è di non ammettere la pluralità“, ha aggiunto: “Una società dove non ci sono conflitti è una società morta. Una società dove si nascondo i conflitti è una società suicida. Una società dove si prendono i conflitti per mano, è una società di futuro”.

“Il mondo ha bisogno di guardare alle donne per trovare la pace. Le testimonianze di queste coraggiose costruttrici di ponti fra israeliani e palestinesi ce lo confermano”, ha detto Francesco al termine dell’incontro, dopo aver ascoltato un appello-video di mamme ebree e palestinesi. “Sono sempre più convinto – ha affermato il Pontefice – che ‘il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento'”. “Voi, però, tessitrici e tessitori di dialogo in Terra Santa, chiedete ai leader mondiali di ascoltare la vostra voce, di coinvolgervi nei processi negoziali, perché gli accordi nascano dalla realtà e non da ideologie – ha continuato -: le ideologie non hanno piedi per camminare, non hanno mani per curare le ferite, non hanno occhi per vedere le sofferenze dell’altro. La pace si fa con i piedi, le mani e gli occhi dei popoli coinvolti”.

Al termine dell’incontro nell’Arena, Francesco è stato portato nel carcere di Montorio per incontrare i detenuti. “Con dolore ho appreso che purtroppo qui, recentemente, alcune persone, in un gesto estremo, hanno rinunciato a vivere. E’ un atto triste, questo, a cui solo una disperazione e un dolore insostenibili possono portare”, ha detto. “Perciò, mentre mi unisco nella preghiera alle famiglie e a tutti voi, voglio invitarvi a non cedere allo sconforto. La vita è sempre degna di essere vissuta, e c’è sempre speranza per il futuro”.