Da un lato le Europee in arrivo, la stagione balneare che prende il via dopo settimane di maltempo. Dall’altro la procedura di infrazione per mancato rispetto della direttiva Bolkestein che va avanti. Stretto tra i due fuochi, il governo Meloni deve decidere come muoversi. Incalzato sia dai concessionari, stufi dell’incertezza sul futuro e in balia di sentenze contrastanti sulla messa a gara, sia dalle Regioni: la settimana scorsa dalla riunione del tavolo sul demanio marittimo è uscita la richiesta di varare una norma al più presto, mettendo fine al balletto sulla presunta “abbondanza della risorsa naturale rappresentata dalle spiagge. Tanto più che a fine anno scadrà il termine fissato dalla legge sulla concorrenza 2022 e anche gli enti locali che non si sono ancora mossi dovranno avviare le procedure competitive. In attesa del tavolo consultivo convocato dalla presidenza del Consiglio per il 20 maggio, la maggioranza ha tentato di correre ai ripari a colpi di emendamenti con cui fornire un salvagente ai concessionari uscenti.

Fratelli d’Italia e Lega si sono mossi la settimana scorsa approfittando della discussione in commissione Finanze alla Camera della proposta di legge di FdI sulla Abrogazione dell’articolo 49 del codice della navigazione, in base al quale scadenza della concessione le opere edilizie realizzate su aree demaniali devono essere cedute allo Stato “a titolo non oneroso e senza indennizzo“. Il Consiglio di Stato ha già interpellato la Corte di Giustizia Ue sulla legittimità di quella norma, chiedendo di valutare se impone “restrizioni non proporzionate alla concorrenza nel mercato”. Il pronunciamento non è ancora arrivato ma lo scorso febbraio l’avvocato generale della Corte Tamara Ćapeta, nelle sue conclusioni, si è detta convinta che non rappresenti una restrizione vietata dal trattato Ue “se la durata della concessione è sufficiente per l’ammortamento dell’investimento da parte del concessionario”. Il partito della premier ha deciso comunque di non attendere la sentenza e vuole cancellare subito quell’articolo con un colpo di penna.

Ma non solo: un emendamento del primo firmatario della proposta, Riccardo Zucconi, chiede che in aggiunta il gestore vincitore dell’eventuale gara per l’assegnazione della concessione debba riconoscere a quello uscente “un indennizzo corrispondente al valore aziendale dell’impresa, asseverato dalla perizia di un professionista abilitato, che viene reso pubblico quando viene indetto il bando”. Le procedure di affidamento già in corso dovrebbero essere adeguate di conseguenza. Il principio degli indennizzi era stato previsto dalla legge sulla concorrenza varata due anni fa dal governo Draghi, ma non sono stati mai approvati i decreti attuativi sui criteri per la quantificazione.

La Lega si è accodata, presentando a sua volta – con i deputati Elisa Montemagni e Salvatore di Mattina – un emendamento identico, che in aggiunta si aggancia alle discusse conclusioni del Tavolo tecnico incaricato di mappare le aree già occupate ed esplicita che le gare vanno fatte “soltanto qualora emerga che la risorsa disponibile sia scarsa“. Come è noto, la mappatura fatta dal Tavolo ha incluso anche aree di costa non accessibili, aviosuperfici, porti commerciali e aree industriali arrivando così alla conclusione che il 67% delle aree disponibili sarebbero libere. La Commissione Ue ha demolito quell’analisi e a quel punto – era gennaio – Palazzo Chigi ha fatto sapere che si trattava di un lavoro preliminare, da approfondire attraverso ulteriori confronti con gli enti locali per arrivare entro quattro mesi a definire i criteri stessi che definiscono la scarsità. L’emendamento del Carroccio calcia la lattina ancora più in là, prevedendo che i criteri siano recepiti con decreto del Presidente del Consiglio “entro sessanta giorni dall’approvazione della presente legge”.

Domani si capirà se il governo intende svelare la propria proposta per mettere fine a questo tira e molla. Significativo il fatto che l’incontro del tavolo tecnico interministeriale sul demanio marittimo sia stato anticipato a lunedì dopo che il sindacato di categoria aveva espresso irritazione per la convocazione della prima riunione il 12 giugno, dunque dopo le elezioni. “Puro calcolo elettorale“, il commento della Sib, peraltro non invitata alla riunione.

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