Un attacco aereo israeliano ha ucciso 35 persone la notte scorsa nel campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. Tra le vittime sette bambini e nove donne. Un raid eseguito nelle ore che hanno visto spaccarsi il gabinetto di guerra israeliano, con il ministro Benny Gantz che ha duramente attaccato il premier Benjamin Netanyahu. Anche di questo parleranno il consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, e Netanyahu, nell’incontro di oggi che ha preso il via a Gerusalemme poco prima delle ore 13 italiane. Sul tavolo – secondo gli analisti – la guerra a Gaza, l’operazione a Rafah e anche i rapporti con il mondo arabo, visto che Sullivan viene da una visita a Riad.
Il rais su Nuseirat – L’ospedale di Al-Agsa e alcuni testimoni per primi hanno denunciato l’attacco di Israele al campo profughi di Nuseirat: “Ha preso di mira una casa che apparteneva alla famiglia Hassan”, si legge in un comunicato dell’ospedale. Secondo fonti dell’ospedale, i morti sono 35, tra i quali sette bambini e nove donne. Secondo la ricostruzione della Cnn, nel bombardamento sono state distrutte una serie di case, tra le cui macerie stanno continuando a scavare le squadre di soccorso. Una testimone ha detto alla Cnn che sono cinque le case crollate, tra le quali quella di sua sorella. “Sono ferita, la mia casa è distrutta, non siamo vivi, stiamo morendo lentamente, dove è la giustizia?”, ha detto la donna all’emittente americana. L’esercito israeliano ha dichiarato l’intenzione di verificare queste informazioni. Testimoni oculari hanno collocato l’attacco intorno alle ore 3 del mattino di domenica 19 maggio. A quell’ora, secondo quanto riferito da Al Jazeera in base ai report dei propri corrispondenti sul campo, era già di almeno 64 palestinesi morti il bilancio delle vittime degli attacchi israeliani nella Striscia nelle ultime 24 ore. In dettaglio, ha riportato l’emittente qatariota, ci sono stati 28 morti e decine di feriti in un attacco in un edificio residenziale vicino all’ospedale Kamal Adwan, nel nord di Gaza; 12 morti e 25 feriti nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza; otto morti e 10 feriti in un attacco di artiglieria a Falujah, a ovest del campo profughi di Jabalia; cinque morti nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza; quattro morti nella città di Khan Younis, nel sud di Gaza; tre morti nella zona di Al-Farahin nella città di Abasan Al-Kabira, a est di Khan Yunis; e quattro morti a Rafah. L’esercito israeliano ha invece annunciato la morte in combattimento di due soldati della Brigata Givati nel sud della Striscia, Nachman Meir Haim Vaknin (20 anni) e Noam Bittan (20). I soldati israeliani caduti dall’avvio della guerra sono ora – secondo i dati dell’esercito – 282.
Le tensioni nel governo – Nel corso della conferenza stampa tenutasi sabato sera a Ramat Gan, il ministro Gantz ha lanciato un ultimatum per il dopoguerra nella Striscia, chiedendo di superare lo stallo: “Il gabinetto deve predisporre un piano d’azione sulla guerra entro l’8 giugno“, ha detto. Rivolgendosi poi al premier: “Devi scegliere fra unità e faziosità, tra sionismo e cinismo, tra responsabilità e illegalità, tra vittoria e disastro: la scelta è nelle tue mani, se non sceglierai usciremo dal governo”. E sul dopoguerra a Gaza ha chiesto che “il gabinetto di guerra decida in fretta per riportare a casa gli ostaggi, abbattere Hamas e smilitarizzare Gaza e che ci sia una direzione Usa-Ue-araba-palestinese che getti le basi di un alternativa futura a Gaza che non sia nè Hamas nè Abu Mazen”. Conclusione: “Ti conosco molto bene da anni come leader e patriota israeliano e sai cosa bisogna fare. Devi scegliere fra unità e faziosità, tra sionismo e cinismo, tra responsabilità e illegalità, tra vittoria e disastro”. Pronta e dura la risposta di Netanyahu: “Mentre i nostri eroici combattenti combattono per distruggere i battaglioni di Hamas a Rafah, Gantz sceglie di lanciare un ultimatum al Primo Ministro invece di lanciarne uno a Hamas. Le condizioni poste sono parole vane il cui significato è chiaro: la fine della guerra e la sconfitta di Israele, il lasciare la maggior parte degli ostaggi al loro destino, il mantenimento di Hamas intatto e la creazione di uno Stato palestinese”. Infine ha ribadito la sue netta opposizione all’introduzione dell’Autorità Palestinese a Gaza e alla creazione di uno Stato palestinese, “che sarà inevitabilmente uno stato di terrore”.
Le proteste e i negoziati (fermi) – Sempre sabato a Tel Aviv, fuori dal quartier generale militare di Kirya, si è svolta una nuova protesta per chiedere al gabinetto di guerra di firmare un accordo per il rilascio degli ostaggi. Secondo l’esercito israeliano, 133 israeliani, rapiti e portati nella Striscia di Gaza durante gli attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023, rimangono in cattività. Le manifestazioni in Israele hanno criticato la gestione della crisi da parte del governo. Ma i negoziati intanto sono stati interrotti. Lo ha annunciato l’emittente televisiva israeliana Kan 11. Secondo le fonti coinvolte nei colloqui – riferisce il canale televisivo – i mediatori di Egitto e Qatar hanno verificato l’impossibilità in questa fase di raggiungere un accordo con Israele. “Le fonti hanno indicato che le differenze sono molto ampie, soprattutto sul termine ‘fine della guerra’ e sulla richiesta di Israele di porre il veto sui nomi dei terroristi di cui Hamas potrebbe chiedere il rilascio”, ha riferito Kan 11. Mentre la missione iraniana presso l’Onu ha confermato che nei giorni scorsi si sono tenuti colloqui indiretti tra Teheran e Washington in Oman, affermando che si tratta di un “processo in corso”, ha riportato l’agenzia lo riporta l’agenzia di stampa della Repubblica Islamica, Irna. L’agenzia Onu per i rifugiati ha invece fatto sapere che “quasi la metà della popolazione di Rafah, 800mila persone, è per strada, costretta a fuggire da quando le forze israeliane hanno iniziato l’operazione militare nell’area il 6 maggio. In risposta agli ordini di evacuazione che chiedevano alle persone di fuggire nelle cosiddette zone sicure, le persone si sono recate principalmente nelle zone centrali e a Khan Younis, anche negli edifici distrutti”, ha detto ieri il capo dell’agenzia Onu per i rifugiati, Philippe Lazzarini.