Ottava ripresa. Oleksandr Usyk sta perdendo il match del secolo, quello che vale l’unificazione dopo 25 anni delle quattro cinture dei pesi massimi di boxe. Tyson Fury è avanti ai punti: più alto, più pesante, i suoi montanti come pietre nella resistenza del campione ucraino. Che però non a caso negli Stati Uniti chiamano “il gatto”: subisce, poi all’improvviso gancio sinistro dal nulla, dritto sul naso dell’inglese. Che accusa il colpo, sente dolore, va all’angolo alla fine della ripresa con meno spavalderia. Ancora non sa che il match della Kingdom Arena di Riyadh (Arabia Saudita) è cambiato. Per sempre. E anche la storia della boxe. Nel nono round Usyk graffia ancora: gancio sinistro, un altro, un altro ancora; Fury barcolla, si fa sorreggere dalle corde, le gambe non ci sono più, lo sguardo è perso. Non va al tappeto: sarebbe un ko in piedi, viene comunque contato, ma la ripresa è ormai finita. E anche il match, perché fino alla dodicesima ripresa il copione è lo stesso. Split decision: Oleksandr Usyk vince ai punti, di un soffio, è il nuovo campione unificato dei pesi massimi di boxe, aggiunge la cintura Wbc a quelle Wba, Ibf, Wbo già in suo possesso.
Usyk tra i più grandi di sempre – Ed entra di diritto nell’olimpo dei più grandi di sempre. E non solo perché il campione unificato dei pesi massimi mancava dal 1999 (Lennox Lewis) e neanche perché dopo aver unificato i massimi leggeri è riuscito nell’impresa di ripetere l’exploit nella categoria regina. No: Oleksandr Usyk è storia perché ha scritto l’ennesimo capolavoro con tecnica sopraffina e classe pugilistica assoluta. Dopo aver sconfitto per due volte da sfavorito Antony Joshua, l’ucraino ha inflitto la prima batosta della carriera a un pugile complicatissimo da affrontare, quel Tyson Fury più alto di 15 centimetri, più pesante di 18 kg, con un allungo superiore di 20 centimetri. E nella boxe le dimensioni contano, eccome se contano. La cronaca della gemma ucraina, del resto, è lì a dimostrarlo.
La cronaca del match – Prime due riprese di puro studio, colpi di appoggio, solito show da guascone di Fury, movimento costante di Usyk, che prende sin da subito il centro del ring. È ciò che Tyson Fury vuole. Mai così magro negli ultimi cinque anni, concentrato e preparatissimo a livello fisico (la buona dodicesima ripresa ne è la conferma), l’inglese tiene distante Usyk col jab, poi piazza una serie di montanti sparsi per le cinque riprese successive che mettono tremendamente in difficoltà il boxeur di Sinferopoli. Che soffre, tanto, le gambe si piegano, però non molla. Prova a reagire ma non trova mai la misura. I cartellini lo vedono in svantaggio, netto svantaggio. Tyson Fury sta dominando, ha in mano il controllo del match. Poi l’ottava ripresa, dove il corso della storia inizia a cambiare verso. Quel gancio sinistro sul naso a insediarsi nelle sicurezze dell’inglese, come detto, è il prologo a un nono round da tregenda per Tyson Fury. Che però resta un incassatore sopraffino e riesce a non finire ko nonostante quasi 30 secondi in completa balia della furia ucraina. Prova a recuperare Fury, riacquista mobilità nelle gambe, boxa d’esperienza (anche se mai in quel modo sporco che rende tremendamente difficile la vita agli avversari), perde la decima e l’undicesima ripresa nettamente, ma è ancora vivo. Il dodicesimo e ultimo round è decisivo per i punti. Due giudici danno Usyk avanti (di un punto e tre punti), il terzo vede vittorioso Fury di una lunghezza. Split decision: Usyk campione unificato dei massimi, Fury battuto per la prima volta in vita sua, a un passo dal sogno. Gipsy King non ammette la sconfitta: “Sono convinto di aver vinto” dice alla fine del match e non perde tempo a chiedere la rivincita. Usyk non è tipo da tirarsi indietro: return match già concesso, forse si terrà il 12 ottobre. La clausola, del resto, era già inserita nel contratto della sfida del secolo, che ha pagato una borsa mostruosa a Tyson Fury (105 milioni di euro) e un pelo più umana al campione (45 per Usyk).
Ancora Kiev – La storia nella storia del match parla ancora la lingua di Kiev. Perché con questa vittoria Oleksandr Usyk ha in un certo senso vendicato il suo connazionale Volodymyr Klyčko, campione incontrastato dei massimi fino al 2015, quando un giovane Tyson Fury riuscì a batterlo in Germania e a laurearsi campione. All’epoca la vita dell’inglese di Morecambe prese strade e demoni incontrollati: la depressione, la dipendenza dalla droga, la squalifica per doping, i tre anni di inattività. Poi il ritorno, in grande stile, le vittorie in serie, sempre con quel modo di fare, guascone al limite del maleducato. Oggi doveva essere il culmine, la chiusura del cerchio, il trionfo più splendente nella carriera del pugile vissuto due volte. E invece Oleksandr Usyk, l’ucraino, che dedica la vittoria al suo popolo in guerra, che vince perché nella boxe le misure contano, ma mai quanto la tecnica e la genialità.