Consiglio di Stato di nuovo contro la proroga delle concessioni balneari. Secondo i giudici amministrativi le proroghe generalizzate sono sono illegittime e in contrasto con la direttiva europea Bolkenstein. Si evince da tre sentenze depositate oggi – e relative ai giudizi oggetto delle decisioni della Cassazione e della Corte di Giustizia- il Consiglio di Stato ribandendo i consolidati principi della sua giurisprudenza sulla illegittimità delle proroghe generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative stabilite dal legislatore in quanto contrastanti con i principi di concorrenza e di libertà di stabilimento sanciti non solo dalla direttiva Bolkestein, ma anche dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.
“Il Consiglio di Stato, spiega una nota, ha chiarito che la disapplicazione delle norme nazionali sulle concessioni demaniali marittime si impone prima, e a prescindere, dall’esame della questione della scarsità delle risorse, che in ogni caso non risulta essere decisiva in quanto anche ove si ritenesse che la risorsa non sia scarsa, le procedure selettive sarebbero comunque imposte dall’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in presenza di un interesse transfrontaliero certo e dal diritto nazionale anche in assenza di tale interesse”. Il Consiglio di Stato, prosegue la nota, “ha pertanto ribadito la necessità, per i Comuni, di bandire immediatamente procedure di gara imparziali e trasparenti per l’assegnazione delle concessioni ormai scadute il 31 dicembre 2023″.
In base alla direttiva Bolkestein, l’Italia è tenuta a mettere a gara le concessioni. Sinora però nessun governo lo ha fatto usando vari rinvii ed escamotage. L’ultimo è stato quello della mappatura delle spiagge per dimostrarne la non scarsità. La prima ricognizione è stata bocciata da Bruxelles che ha invitato il governo a fornire cifre più accurate e veritiere. In questo quadro di profonda incertezza i comuni interessati si muovono in ordine sparso. Jesolo, sul litorale veneto, ha messo a gara due concessioni giunte a scadenza. I titolari uscenti hanno perso. Altri comuni tra cui Rimini e Ravenna, hanno rimandato di un anno l’avvio delle gare, altri hanno semplicemente prorogato le concessioni in essere.
In Puglia il Tar di Bari ha disposto la proroga di 21 concessioni di stabilimenti a Monopoli, dichiarando illegittime le gare. Una pronuncia che sembra sconfessata in toto da quanto ribadisce oggi il Consiglio di Stato. Una grande confusione. Certo è che a fine anno scadrà il termine fissato dalla legge sulla concorrenza 2022 e anche gli enti locali che non si sono ancora mossi dovranno avviare le procedure competitive. Il governo temporeggia, oggi a palazzo Chigi si tiene un tavolo consultivo. La maggioranza ha tentato di correre ai ripari a colpi di emendamenti con cui fornire un salvagente ai concessionari uscenti.
Attualmente, in molti casi i canoni annuali pagati dai gestori di stabilimenti sono irrisori. Secondo un rapporto della Corte dei conti, lo Stato incassa ogni anno da oltre 12mila concessioni, appena 92 milioni di euro. Una media di circa 7.60o euro a stabilimento, a fronte di fatturati medi stimati in 260mila euro. Lo scorso dicembre il ministero delle Infrastrutture, guidato da Matteo Salvini, ha deciso di ridurre ulteriormente i canoni del 4,5%.
Fratelli d’Italia e Lega si sono mossi la settimana scorsa approfittando della discussione in commissione Finanze alla Camera della proposta di legge di FdI sulla Abrogazione dell’articolo 49 del codice della navigazione, in base al quale scadenza della concessione le opere edilizie realizzate su aree demaniali devono essere cedute allo Stato “a titolo non oneroso e senza indennizzo“. Il Consiglio di Stato ha già interpellato la Corte di Giustizia Ue sulla legittimità di quella norma, chiedendo di valutare se impone “restrizioni non proporzionate alla concorrenza nel mercato”. Il pronunciamento non è ancora arrivato ma lo scorso febbraio l’avvocato generale della Corte Tamara Ćapeta, nelle sue conclusioni, si è detta convinta che non rappresenti una restrizione vietata dal trattato Ue “se la durata della concessione è sufficiente per l’ammortamento dell’investimento da parte del concessionario”. Il partito della premier ha deciso comunque di non attendere la sentenza e vuole cancellare subito quell’articolo con un colpo di penna.