di Leonardo Botta
Giorgia Meloni, il governo e la diplomazia italiana hanno fatto un ottimo lavoro per l’estradizione in Italia di Chico Forti, condannato all’ergastolo negli Usa per un omicidio commesso nel 1998 (questo hanno sancito i tribunali americani). Sono anche contento per Forti perché, come ha da tempo auspicato, potrà ricevere visita dall’anziana madre nelle carceri italiane.
Ciò detto, vorrei capire per quale inspiegabile motivo la presidente del Consiglio abbia voluto incontrare personalmente Forti, con tanto di foto celebrativa, al suo arrivo all’aeroporto romano di Pratica di Mare. Capisco la legittima soddisfazione per l’operazione diplomatica, non riuscita ai precedenti governi, ma mi sfugge l’opportunità della propagandistica accoglienza in pompa magna di un uomo riconosciuto colpevole di un delitto con sentenza passata in giudicato, anche se professatosi sempre innocente: sarebbe come se Bill Clinton in persona avesse voluto tributare gli onori ai quattro aviatori militari statunitensi che, con la loro condotta avventata, provocarono la morte di venti passeggeri sulla funivia del Cermis in Trentino (correva lo stesso anno ’98).
E a questo punto mi viene da pensare che fossero infinitamente meno giustificate le critiche ai ministri Salvini e Bonafede per aver presenziato, all’epoca del governo giallo-verde, alla “cerimonia” di atterraggio a Ciampino dell’aereo che riportava in patria il latitante terrorista Cesare Battisti.
Ma, soprattutto, mi faccio una domanda: come mi sentirei oggi se fossi un parente di Dale Pike, la vittima dell’omicidio per il quale Forti fu riconosciuto colpevole?