C’è una nomina diventata un caso al Consiglio superiore della magistratura. È quella del nuovo procuratore di Catania, poltrona tra le più importanti d’Italia, vacante da luglio dopo l’addio di Carmelo Zuccaro, diventato procuratore generale sempre nella città etnea. La scelta del successore è considerato un passaggio di estrema delicatezza, tanto da attirare l’attenzione dei massimi vertici del potere giudiziario e politico. Così, da ormai un mese e mezzo, la procedura è congelata nelle stanze di palazzo Bachelet: la Quinta Commissione, competente sugli incarichi direttivi, ha terminato l’istruttoria addirittura il 9 aprile scorso (quando si sono concluse le audizioni dei candidati) ma da allora non è mai riuscita a votare le proposte da sottoporre al plenum, l’organo al completo, a cui spetta l’ultima parola. Per cinque settimane si è andati avanti di rinvio in rinvio, fino alla seduta di lunedì 20 maggio, quando il relatore della pratica, il togato indipendente Andrea Mirenda, ha abbandonato i lavori della Commissione con un clamoroso gesto di protesta: “Devo prendere atto con estrema amarezza che, nonostante gli scandali che più è più volte lo hanno travolto, il Consiglio, immune ad ogni revisione critica del proprio passato, persevera in dinamiche che, quando non opache, appaiono sicuramente estranee alle regole procedimentali e di merito che ne disciplinano l’attività”, denuncia in un comunicato stampa. E al fattoquotidiano.it rievoca lo scandalo nomine di qualche anno fa: “Siamo alle solite, nulla è cambiato. Palamara non operava da solo“.
Nel Risiko in corso su Catania i candidati con chance di vittoria sono quattro. Il favorito è un “Papa straniero”, Francesco Curcio, attuale capo dei pm di Potenza. Un copione che ricalcherebbe quanto accaduto ormai dodici anni fa, quando al vertice della procura etnea fu eletto Giovanni Salvi: era l’unico non siciliano a rompere il derby tra Giovanni Tinebra e Giuseppe Gennaro. Anche questa volta Curcio è l’unico “straniero” tra i candidati favoriti. A spingerlo – come era avvenuto con Salvi – è la corrente progressista di Area (rappresentata in Commissione da Antonello Cosentino) con un prestigioso sponsor esterno, il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, magistrato da sempre in ottimi rapporti con la politica (è stato capo di gabinetto dell’ex Guardasigilli Andrea Orlando).
A sfidare Curcio, però, ci sono tre degli attuali aggiunti (i “vice” del capo) alla Procura etnea: Francesco Puleio, Ignazio Fonzo e Sebastiano Ardita. Quest’ultimo, pm antimafia di grande esperienza, sulla carta sarebbe un concorrente molto forte: prima dell’attuale incarico (ricoperto dal 2017) è stato procuratore aggiunto e procuratore reggente a Messina, membro del Csm, consulente della Commissione parlamentare antimafia e direttore generale al Dap, il Dipartimento carceri del ministero della Giustizia. Sul nome di Ardita, però – come ha raccontato nei giorni scorsi il quotidiano La Sicilia – c’è una convergenza di veti. I suoi ex compagni di corrente, i conservatori di Magistratura indipendente, non gli perdonano lo strappo del 2015, quando insieme a Piercamillo Davigo uscì dal gruppo (allora dominato dall’ex sottosegretario Cosimo Ferri) per fondare una nuova sigla, Autonomia&indipendenza. Ma anche i consiglieri laici di centrodestra, che pure lo stimano, non sembrano intenzionati a votarlo: Ardita è considerato poco affidabile dal punto di vista politico, data anche la sua storica vicinanza a un pm “anti-sistema” come Nino Di Matteo, tra i padri dell’indagine sulla Trattativa Stato-mafia.
Così al Csm la destra politico-giudiziaria cerca un altro cavallo e blocca i lavori a oltranza. In Commissione l’unica consigliera laica di maggioranza, Daniela Bianchini di Fratelli d’Italia, potrebbe scegliere Puleio, aggiunto dal 2016, che nel curriculum ha già un’esperienza da procuratore capo (per quanto in un ufficio minuscolo, quello di Modica, poi soppresso). Su di lui puntano già i centristi di UniCost e anche Mirenda, unico togato eletto senza l’appoggio delle correnti, che sottolinea come il suo profilo prevalga in base al Testo unico sulla dirigenza giudiziaria (la circolare del Csm che fa da vademecum per le nomine). Ma pure Fonzo sembra avere le sue carte da giocare: nonostante la vecchia militanza progressista è considerato affidabile anche dai conservatori e potrebbe ottenere il voto di Magistratura indipendente, che esprime la presidente della Commissione, Maria Luisa Mazzola, e finora tiene le carte copertissime. L’alternativa è che la corrente conservatrice converga su Curcio, in una sorta di “larga intesa” che potrebbe riproporsi per altre importanti pratiche, come denuncia Mirenda citando la vecchia prassi delle “nomine a pacchetto”. “Nella seduta di lunedì”, racconta, di fronte all’ennesimo stallo “ho messo a verbale che non avrei accettato ulteriori rinvii“. La Commissione, però, “ha ritenuto di ignorare la richiesta e di rinviare ulteriormente la delibera a mercoledì prossimo, per essere decisa unitamente a quelle del procuratore generale presso la Corte d’Appello di Napoli, del presidente della Corte d’Appello di Salerno e, infine, del relativo procuratore generale. Il tutto, a mio sommesso avviso, nell’ intento – non commendevole – di trovare una “quadratura” generale delle pratiche menzionate”, attacca.
A Catania, nel frattempo, si guarda con preoccupazione alle dinamiche romane: martedì mattina di fronte al Palazzo di giustizia si terrà un presidio convocato da Enzo Guarnera, avvocato e già deputato regionale de La Rete, che denuncia l'”inaudita gravità” dei tentativi di interferenza sulla nomina del procuratore e fa appello al capo dello Stato – nella sua qualità di presidente del Csm – “affinché le nomine di tutti i vertici giudiziari siano sganciate dai giochi dei partiti e dalla logica spartitoria delle varie correnti”. Già nel 2012 gli ambienti della società civile etnea erano scesi in campo, quando il Csm avrebbe dovuto nominare il nuovo procuratore capo. Incarico delicato in una città come Catania, da sempre crocevia di rapporti criminali di altissimo livello. Sotto l’Etna per decenni gli interessi imprenditoriali e politici si sono saldati con quelli mafiosi. Anche per questo motivo 12 anni fa si cercò di far arrivare un “Papa straniero”. Questa volta, però, l’impressione è che il candidato di rottura possa essere nato a Catania.