Fino alla scorsa settimana nel Mediterraneo navigava un peschereccio con due nomi, due matricole, due bandiere, assegnatario di “quote tonno” da due Paesi diversi, in violazione delle norme nazionali e internazionali. Una foto scattata il 28 aprile mostra il peschereccio ripitturato di fresco, con la vernice bianca e blu che copre il vecchio nome, scritto in rilievo sulla poppa. “Dobermann, Molfetta” è ancora leggibile sotto uno spesso strato di colore, anche se oggi la barca è stata ribattezzata Suprata e batte bandiera libica anziché italiana. L’imbarcazione di trentuno metri è attrezzata per la pesca a circuizione e, per la stagione che si apre a fine mese, era autorizzata a cacciare quasi 100 tonnellate di tonno rosso da parte del governo italiano e altre 170 circa da quello libico. Il permesso di catturare con le reti quantità così ingenti del pesce più pagato al mondo è ambito da molti e concesso a pochissimi. Tanto da spingere questa barca, che nasce italiana, a sparire misteriosamente dai radar dopo aver fatto richiesta di un permesso di pesca al governo di Roma, per riapparire al porto di Khoms, a pochi chilometri da Tripoli, e chiedere un’altra autorizzazione al governo libico, alimentando così il circuito parallelo della pesca illegale.
La legge che regola il settore vieta severamente l’accumulo sulla stessa imbarcazione di quote di Paesi diversi, per evitare sperequazioni e garantire a tutti gli operatori di poter pescare in modo sostenibile una specie che fino a pochi anni fa era considerata a rischio d’estinzione. Ma alcuni operatori senza scrupoli cercano di approfittare della debolezza del sistema di assegnazione per fare incetta.
Il codice italiano della navigazione prevede che, prima di cambiare bandiera, una barca come il Dobermann debba richiedere l’autorizzazione al ministero dell’Agricoltura e rendere pubblica la sua intenzione mediante l’affissione di un annuncio. “La procedura di dismissione della bandiera solitamente richiede almeno sei mesi”, spiega Giovanni Volpi, perito nautico esperto in materia. “È molto difficile ottenerla in meno, in particolare verso un paese extracomunitario”. In questo caso l’operazione sarebbe avvenuta nel giro di una ventina di giorni.
Nel corso delle ultime tre settimane abbiamo chiesto più volte al ministero, ma non ci è stata fornita alcuna informazione di una richiesta di cambio bandiera. In assenza di cancellazione dai registri navali italiani, la barca ha semplicemente ammainato clandestinamente il tricolore per issare la bandiera libica nella speranza di sfruttare entrambe le quote quando la pesca del tonno si aprirà a fine maggio. Ai prezzi dell’anno scorso, la somma della quota “italiana” e “libica” vale circa tre milioni e mezzo di euro per gli armatori.
D’altronde lo chiamano l’oro rosso del Mediterraneo, perché il suo costo al chilo può arrivare a prezzi altissimi sul mercato giapponese. Soprattutto dopo che è stato ingrassato come un’oca da fois gras. Oggi la maggior parte dei tonni rossi pescati nel mare nostrum finisce infatti in gabbie dove vengono ingozzati con pesce azzurro, per poi finire come luxury food sulle tavole giapponesi a cifre esorbitanti. Qualche anno fa al mercato di Tokyo un tonno rosso del Mediterraneo ha raggiunto la cifra record di 9.600 euro al chilo. Questo è il motivo principale per cui è assai difficile per i ristoratori italiani poter servire quello che era il pesce simbolo della civiltà mediterranea, anche se a pescarlo sono spesso barche italiane come il Dobermann. Il quale nel frattempo fa bella mostra del suo nuovo nome, scritto in caratteri arabi sulla tuga. Sul ponte, gli unici colori che sventolano oggi sono il rosso, il nero e il verde dell’ex Jamahiriya, mentre del tricolore italiano non c’è ombra.
Tramite un servizio di tracciamento delle imbarcazioni abbiamo ricostruito il viaggio del Dobermann, che risulta di proprietà della Adriafish, società della famiglia Pappalardo, originaria di Cetara, in provincia di Salerno. Il peschereccio sparisce dai radar qualche mese fa, pratica già di per sé illegale e sanzionabile, che si ottiene spegnendo il transponder di bordo. Il 5 aprile alle 18.48, riappare sui radar appena fuori dal porto di Salerno, mantenendo lo stesso nome ma battendo bandiera libica. In tre giorni di navigazione attraversa il Mediterraneo e l’8 aprile alle 12.08 entra nel porto di Khoms. Poi sparisce di nuovo dai radar per ricomparire un paio d’ore dopo nel medesimo porto, sempre con bandiera libica, ma con il nome di Suprata fresco di pennello.
Il 18 aprile in Italia il ministero dell’Agricoltura ufficializza l’assegnazione delle quote tonno: Dobermann si aggiudica 99,781 tonnellate. Perché in quel momento ha ammainato la bandiera italiana e si trova ancorato in un porto straniero e piuttosto sensibile a quasi 500 miglia nautiche di distanza? La sola presenza da quelle parti risulta sospetta. Data la situazione instabile della Libia, ogni volta che un peschereccio sconfina senza autorizzazione, viene solitamente richiamato dalla nostra Guardia costiera e invitato a lasciare quelle acque considerate a rischio.
Pochi giorni dopo, il 7 maggio, constatiamo che dalle liste ufficiali di Iccat – l’organismo intergovernativo con sede a Madrid che regola e monitora la pesca del tonno – sparisce il nome di Dobermann e compare quello di Suprata, a cui vengono assegnate 168,666 tonnellate di thunnus thynnus dal governo libico.
Come mai Iccat si è accorto di qualcosa che il governo italiano pare ignorare nonostante le ripetute segnalazioni? Bisogna attendere fino al 16 maggio perché il ministero renda ufficiale quel che già tutti sanno: il Dobermann ha cambiato nazionalità. Ma che fine ha fatto la quota tonno che gli era stata assegnata? Non stupirebbe se fosse stata trasferita a un’altra barca di Adriafish. Il regolamento, infatti, concede agli armatori la possibilità di trasferire le quote di un peschereccio a un altro, senza l’obbligo di dichiararlo pubblicamente, a condizione che la proprietà sia la stessa. Stesso proprietario, doppia bandiera, doppia assegnazione di quote e naturalmente doppio incasso. Ma il ministero non risponde alla sola domanda che potrebbe fare chiarezza: come ha fatto Dobermann ad aggiudicarsi la quota tonno italiana quando aveva già effettivamente cambiato bandiera per aver accesso anche alla quota di un’altra nazione?
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La foto in alto è di repertorio