Scopriamo certamente l’acqua calda affermando come l’assassinio politico sia un’arte nella quale eccellono da tempo l’Occidente e i suoi servizi. Basta un’occhiata rapida alla storia degli ultimi cinquant’anni per imbattersi in vari casi di questo tipo. Per limitarsi al nostro Paese, pure da tempo indiscusso servo e vassallo degli Stati Uniti, troviamo i nomi del paladino dell’indipendenza energetica, Enrico Mattei. In altri Paesi come la Svezia abbiamo avuto l’uccisione dell’ideologo dei nuovi rapporti col cosiddetto Terzo Mondo, Olaf Palme, mentre a Cuba sono decine, se non centinaia, i tentativi di uccidere Fidel falliti solo grazie alla superiore qualità della sicurezza cubana.
Ma gli omicidi politici sono moltissimi e riguardano ogni regione del pianeta, mentre è noto come all’interno della Central Intelligence Agency statunitense abbia a lungo operato e probabilmente operi ancora una sezione dedita a questo genere di operazioni. Non è pertanto complottismo chiedersi se la morte del presidente iraniano Raisi, perito in un incidente di elicottero insieme al suo ministro degli Esteri e altri, sia davvero il frutto del caso. Tanto più che gli Stati Uniti avevano già liquidato tempo fa il principale responsabile militare iraniano all’estero, generale Omar Suleimani, mentre l’altro pilastro dell’Occidente nella zona, il regime genocida e terrorista israeliano di Bibi Netanyahu, aveva più di recente bombardato Damasco per eliminare alcuni alti gradi iraniani operanti in Siria.
Quest’ultima vicenda, seguita da un massiccio lancio di droni dall’Iran su Israele e da una alquanto contenuta rappresaglia israeliana, si era chiusa con un’evidente frustrazione da parte di Tel Aviv, umiliata dall’attacco iraniano per quanto quest’ultimo avesse prodotto scarsi danni materiali. L’ovvia smentita e presa di distanza israeliana tempestivamente arrivata invece dell’abituale rivendicazione (una cosa è colpire militari, sia pure violando apertamente e gravemente il diritto internazionale, altra portare l’attacco al cuore dello Stato iraniano) non convince né tranquillizza nessuno.
Difficile peraltro allo stato attuale formulare accuse precise, tanto più per l’esistenza di un’oggettiva situazione di difficoltà del trasporto aereo iraniano per effetto delle sanzioni, anche se pare improbabile che lo Stato iraniano non abbia fatto il possibile per tutelare adeguatamente la sicurezza del suo massimo esponente in tale situazione. Le reazioni del governo iraniano e dei suoi più stretti alleati inducono tuttavia ad avallare la tesi dell’incidente dovuto al maltempo.
Quello che è certo è che l’incidente, quali che ne siano le cause remote e immediate, aggrava ulteriormente la situazione di crisi della regione mediorientale, mentre il popolo palestinese continua a pagare un intollerabile tributo di sangue sull’altare della strategia genocida perseguita da Netanyahu colla complicità dei suoi alleati tra i quali l’Italia, e lo stesso regime israeliano si dibatte in una crisi politica, economica e morale sempre più grave ed evidente.
La battuta più divertente è senza dubbio quella pronunciata da Giorgia Meloni, la quale ha auspicato che la prossima leadership iraniana dia un contributo alla pace, laddove è evidente come nessun contributo di questo genere sia mai provenuto, negli ultimi sette e passa mesi, da Stati Uniti, Unione europea e ovviamente governo italiano. È questo sconcertante vuoto di iniziativa politica che costituisce, come pure nel caso della guerra in Ucraina e in altri ancora, al tempo stesso un sintomo della perdita di ruolo, potere e capacità dell’Occidente; un ulteriore micidiale fattore di rischio per lo stato delle relazioni internazionali mai così disastrate e inclini verso la guerra totale. Appare emblematico in questo senso come l’ultimo discorso di Raisi fosse dedicato proprio al fallimento del progetto di americanizzazione del mondo (diverso e più ampio discorso che qui non faccio riguarda invece le problematiche interne del regime iraniano e in particolare i diritti delle donne e quelli delle minoranze nazionali).
Ne deriva la necessità di rafforzare quella parte, ancora minoritaria e subalterna, dell’Occidente che non si rassegna alla catastrofe nucleare e chiede, in Palestina come in Ucraina, una pace giusta basata sui diritti dei popoli. Occorre a tal fine fermare il genocidio in corso, ritirare le truppe di occupazione israeliane e ottenere la punizione dei responsabili dei crimini commessi, a partire dallo stesso Netanyahu.
Una richiesta di questo genere deve significare la totale liquidazione del regime israeliano basato su apartheid e colonialismo per aprire davvero la prospettiva di una pacifica convivenza tra tutti i popoli dell’area, incluso quello israeliano. Per salvaguardare la sopravvivenza dei civili palestinesi che stanno morendo di fame occorre un’immediata dichiarazione da parte delle Nazioni Unite di emergenza alimentare per carestia che renda possibile un adeguato intervento umanitario internazionale.