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Morto Raisi, chi era il presidente dell’Iran: ultraconservatore e delfino di Khamenei, dalla ‘commissione della morte’ alla repressione

Ultraconservatore, ex giudice capo della magistratura iraniana, ayatollah delfino della Guida Suprema Ali Khamenei e in pole position per la sua successione. Ebrahim Raisi , morto domenica nell’incidente che ha coinvolto l’elicottero su cui viaggiava, è diventato presidente dell’Iran al primo turno delle elezioni del 18 giugno 2021 con quasi 18 milioni di voti (il 61,9% delle preferenze), nella tornata con la più bassa affluenza alle urne della storia della Repubblica Islamica. Una volta al potere, si è dimostrato un inflessibile tutore del regime islamico.

Nato nel 1960 a Mashad, la seconda città più importante dell’Iran, è stato studente di teologia e giurisprudenza islamica della Guida Suprema, Ali Khamenei. Appena ventenne – sulla scia degli eventi della rivoluzione – venne nominato procuratore generale di Karaj, uno dei sobborghi di Teheran. Procuratore capo della capitale dal 1989 al 1994, vice capo della magistratura dal 2004, poi procuratore generale, nel 2016 venne messo da Khamenei a capo della ‘Astan Quds Razavi‘, una delle più grandi fondazioni religiose del Paese che sovrintende al santuario dell’Imam Reza di Mashad. Tre anni dopo divenne capo della magistratura. Fa parte dell’Assemblea degli Esperti, l’organo che elegge la Guida Suprema.

Sposato con Jamileh Alamolhoda, docente all’Università Shahid Beheshti di Teheran, e padre di due figlie, può vantare anche un legame di parentela (è il genero) con la guida della preghiera del venerdì a Mashad, l’influente ayatollah Ahmad Alamolhoda. Per l’opposizione all’estero è legato indissolubilmente alla cosiddetta ‘commissione della morte‘, un tribunale speciale voluto dall’ayatollah Khomeini in persona che nel 1988 condannò al patibolo – secondo il Center for Human Rights in Iran – migliaia di prigionieri politici iraniani. Da giovane procuratore aggiunto di Teheran fu tra i 4 membri. Intervistato sulle purghe, Raisi negò qualsiasi coinvolgimento e alla sua prima conferenza stampa dopo le elezioni sostenne di aver “sempre” difeso i “diritti umani”. Assai più intransigente si mostrò verso gli attivisti dell’Onda Verde che nel 2009 protestavano contro la rielezione di Ahmadinejad. “A coloro che parlano di ‘compassione islamica e perdono’, noi rispondiamo: continueremo ad affrontare i rivoltosi fino alla fine e sradicheremo questa sedizione”

E’ stato eletto nel giugno del 2021 a succedere al moderato Hassan Rohan. Raisi si è trovato imbrigliato in una crisi economica generata dalle sanzioni occidentali, con elevata disoccupazione e inflazione alle stelle, sulla quale si è innestata la crisi del Covid-19. Ma molti osservatori notano come la sua priorità quasi ossessiva fosse il mantenimento della sicurezza interna e un incremento delle spese per la difesa piuttosto che i problemi sociali ed economici nei quali la società iraniana si è avvitata. Sotto di lui nel settembre 2022 è dilagata l’ondata di proteste seguite alla morte della giovane Mahsa Amini, alla quale ha risposto con un ulteriore irrigidimento dell’ordine pubblico e una serie di condanne a morte. Una tendenza, del resto, perfettamente in linea con il suo passato. “A chi ci parla di compassione islamica e perdono, noi rispondiamo che affronteremo i rivoltosi fino alla fine e sradicheremo la sedizione”, aveva ribadito anche durante la repressione delle proteste del Movimento Verde, che nel 2009 si opponeva alla rielezione di Mahmoud Ahmadinejad.

Si è scontrato con Hassan Rouhani nelle elezioni presidenziali del 2017, criticandolo per aver concluso l’accordo nucleare internazionale JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action). Sotto il suo impulso è ripartito il programma di arricchimento dell’uranio, dopo un periodo di stallo seguito all’uscita unilaterale degli Stati Uniti di Trump dall’accordo sul nucleare del 2015, e si è estesa, potenziata e perfezionata la guerra per procura in tutta la regione mediorientale, dall’Iraq alla Siria, da Libano e Gaza allo Yemen.

Nel marzo del 2023, a sorpresa, ha ripristinato le relazioni diplomatiche di Teheran con l’Arabia Saudita, malgrado l’attrito in corso fra la monarchia i ribelli sciiti suoi protegée Houthi nello Yemen. Dando così prova di realismo politico e forse aprendo la strada a mosse di maggior respiro strategico, pochi mesi prima dello scoppio della guerra a Gaza. Guerra che ha portato anche al primo scontro diretto con l’arcinemico israeliano, con lo scambio di missili dello scorso aprile.