di Carmelo Zaccaria
Caro Max, stavolta non sei riuscito a sfangarla con la tua guasconeria di toscanaccio irriverente. Il calcio, come dovresti sapere, a volte sconvolge i propri piani. La palla rotola, devia, inganna. E’ imprevedibile. Può succedere che mentre ti ricopri d’alloro, ti cacciano via, perché, per imprudenza, burla o tracotanza, ti sei cacciato, con sdegno, in un gioco al massacro devastante che credevi di saper controllare, ma che ha finito per sopraffarti. Un cavallo della tua scuderia avrebbe certamente scartato di lato, tu invece ci sei rimasto impigliato. In forza di un perentorio imprimatur pensavi che bastasse metterci la faccia per meritarti l’aureola. In fondo ti hanno solo chiesto (o implorato) di proteggere una società in frantumi, perseguitata da processi e condanne, pregandoti persino di tollerare scelte sportive inspiegabili e spesso inadeguate.
Hai pensato di poter padroneggiare quelli che, con una freddezza luciferina, ti tramavano contro, sfilandoti da sotto il naso il respiro del tuo spogliatoio, indicandoti anzitempo, ed in modo pruriginoso, il tuo sostituto, aizzandoti contro i beceri commenti di basso conio dei social e di qualche media compiacente.
L’errore capitale che hai commesso è stato non aver compreso che la tua investitura, prima e dopo Andrea Agnelli, era solo un pretesto per trainare la Juventus fuori dalla sabbie mobili in cui era precipitata. Un parafulmine ideale per coprire tutti i suoi tragici errori. Ti acclamavano come principe, ti disegnavano come un pupo. Ci sono aziende che si comportano spesso così con i loro dipendenti migliori e più affezionati, pagati profumatamente e mandati allo sbaraglio a prendersi pallonate sul muso, ovviamente rassicurati con ambigue promesse di essere sempre più centrali nelle strategie, ma che, alla prima occasione, sono scaricati in modo inelegante e brutale. Senza un grazie.
Spiace dirlo, ma dopo il plateale scamiciamento e le tortuose evoluzioni da bestia ferita, oggi sei, purtroppo, indifendibile. Sei passato dalla parte del torto. Non ti sei comportato da cavallo di razza, ma da pollo in batteria. A nulla valgono in questi casi scuse e giustificazioni. Sei andato oltre il raptus agonistico. Chi ha visto la partita di Coppa Italia è rimasto letteralmente scioccato dal tuo scellerato sbracamento, dalla riprovevole e incarognita discesa negli inferi a cui ti sei spontaneamente sottoposto, dopo una perentoria vittoria che nessuno auspicava, per vederti rotolare nella polvere, così da rendere lecito e inoppugnabile il tuo allontanamento, da tempo cotto e mangiato.
Certo di aver fatto in pieno il proprio dovere, hai compiuto l’estremo atto di uomo solo e disperato, che ritiene con una furia incontenibile di dare sfogo e testimonianza ad una rabbiosa rivincita sulla malvagità e irriconoscenza del mondo intero, sui titoloni dei giornali, sul management di quarto livello, sui limiti tecnici evidentissimi del gruppo che ti hanno affidato, e che tu dignitosamente hai comunque sempre difeso.
Capisco, da juventino, che volevi, in un sussulto di ira e vanagloria, marchiare a fuoco le tue credenziali di vincente. La Juventus ha vinto tanto, anzi tantissimo. Ma le sue vittorie, pur meritate, sono sempre state faticose, acciuffate, strappate quasi a morsi. La sua storia è costellata di vittorie travagliate, alcune addirittura sanguinose, mentre, di converso si sono lasciate per strada partite di una semplicità imbarazzante.
Nelle pieghe della mitologia greca si narrano guerre sotterranee tra le divinità amiche e quelle ostili, senza che si arrivi a risultati inconfutabili e definitivi, per cui si poteva soccombere con distacco, per volere del fato, o prevalere sull’avversario solo con tormento. Il cuore juventino è tutto in questa incongruenza del destino, tra orgoglio e amarezza, e tu vincendo questa finale, in questo modo, lo hai rappresentato in pieno.
Spero che la dea Eupalla, tanto cara a Gianni Brera, non cosparga di ulteriore veleno questo tuo burrascoso esonero.