Un tentativo di colpo di Stato è stato sventato domenica a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo: un commando, composto secondo le autorità da congolesi e da “stranieri”, tra cui tre americani e un britannico, ha attaccato prima la residenza del ministro dell’Economia e in seguito il Palais de la Nation, dove si trovano gli uffici del presidente Félix Tshisekedi. “Un tentativo di golpe è stato stroncato sul nascere dalle forze di difesa e di sicurezza. Questo tentativo ha coinvolto stranieri e congolesi, che sono stati tutti resi incapaci di nuocere, compreso il loro leader”, ha dichiarato, in un breve messaggio alla tv nazionale RTNC, il generale Sylvain Ekenge, portavoce dell’esercito congolese. Sui social sono circolate da subito le immagini dei momenti dell’assalto e di quelli successivi, coi presunti golpisti catturati: vesti lacere, volti tumefatti, legati e gettati a terra. Fra loro, si vede chiaramente almeno un occidentale.
Tutto è iniziato prima dell’alba, quando una ventina di uomini armati in uniforme militare hanno assaltato l’abitazione di Vital Kamerhe, vicepremier e ministro dell’Economia, nonché capo del partito UNC (Unione per la Nazione Congolese) della maggioranza di governo e candidato alla carica di presidente dell’Assemblea nazionale: due delle sue guardie del corpo e un aggressore sono rimasti uccisi. Illesi Kamerhe e la sua famiglia, mentre il centralissimo quartiere de La Gombe (zona di uffici pubblici, organismi internazionali e ambasciate) viveva momenti di forte tensione, con uomini armati e spari in pieno centro.
Di lì, gli aggressori si sono poi diretti verso il Palais de la Nation, dove si trovano gli uffici del capo dello Stato, entrando con la vecchia bandiera verde dello Zaire dell’epoca di Mobutu. Uno di loro, presentandosi come leader del gruppo, ha girato un video trasmesso in diretta Facebook prima di essere ucciso dalle forze di sicurezza: si tratta di tal Christian Malanga Musumari, 41 anni, che nel video, mescolando francese, inglese e lingala, afferma: “I soldati sono stanchi, non possiamo vivere con persone come Kamerhe o Félix (Tshisekedi). Hanno fatto un sacco di cose stupide in questo Paese. Ci risveglieremo in un Paese più bello di prima. Siamo cresciuti nella diaspora. E la vita che abbiamo non è normale. Felix se ne vada”. Parole che parrebbero quelle di un esaltato: Malanga, nato a Kinshasa, da anni era emigrato negli Stati Uniti, prendendone la nazionalità, era un ex militare (a suo dire, aveva servito nell’esercito Usa) e aveva fondato di un movimento detto New Zaïre.
Molto attivo sui social, predicatore evangelico, compariva spesso online con un’arma in mano, maledicendo “ladri e corrotti”, accusando il presidente Tshisekedi di fallimento nella gestione del Paese. Fra gli arrestati, ci sono anche uno dei suoi figli e almeno altri due cittadini statunitensi, ma sul luogo degli scontri sarebbe stato rinvenuto anche un passaporto canadese. Secondo altre fonti, fra gli arrestati anche un uomo naturalizzato inglese. Una ventina le persone finite in manetta che dopo l’assalto tentavano di fuggire a nuoto nel fiume Congo. Su di loro potrebbe ora pendere la pena di morte, di recente ripristinata in RDC per reati gravi fra cui proprio l’attentato alle istituzioni dello Stato.
Nel frattempo, dalla confinante Repubblica del Congo giungeva un comunicato col quale si informava che un colpo d’artiglieria proveniente da Kinshasa era caduto in un quartiere di Brazzaville, la capitale che si affaccia sull’altro lato del fiume, provocando alcuni feriti. Pronte le reazioni di condanna da parte della rappresentante speciale Onu e capo dei caschi blu, Bintou Keïta, dell’Unione africana e del Sudafrica, mentre l’ambasciatrice Usa in RDC, Lucy Tamlyn, si affrettava a twittare la sua preoccupazione per “i report sul coinvolgimento di cittadini americani”, promettendo collaborazione in caso di cittadini statunitensi coinvolti.
Al di là della cronaca, molto resta ancora da capire: se dalle prime informazioni ufficiali parrebbe che gli “stranieri” coinvolti fossero congolesi della diaspora, con cittadinanza statunitense o britannica, ancora mancano informazioni ufficiali sull’identità dei bianchi che compaiono nei video dell’assalto e degli arresti, al fianco dei golpisti. Certamente è un fatto anomalo che fra gli uomini armati che tentano un colpo di Stato compaiano fisicamente degli occidentali. Inoltre, se pare lampante che un manipolo di venti uomini non sarebbe stato in grado di portare a termine un golpe, in molti si domandano quale sia stato il senso di questa azione: una “pagliacciata” secondo alcuni, un “messaggio” secondo altri.
Tshisekedi, da sempre saldamente filoccidentale, nelle ultime settimane ha manifestato apertamente la volontà di rivolgersi “altrove” se l’Occidente non cesserà il sostegno al Rwanda, Paese confinante, responsabile dei decenni di instabilità nell’est del Congo e del recente riacutizzarsi della guerra: all’inizio di maggio i miliziani dell’M23 – sostenuti dal Rwanda, secondo molti report internazionali – hanno bombardato un campo sfollati alle porte di Goma, facendo 36 morti e una quarantina di feriti.