PADOVA – Il Veneto, la terra dell’inquinante eterno, cerca una via d’uscita per vietare l’utilizzo dei Pfas nella produzione industriale e per eliminare dall’organismo le sostanze perfluoroalchiliche che lo avvelenano. Da Vicenza le “mamme No Pfas” e altre associazioni lanciano un appello a tutti i sindaci del Nord Italia affinché facciano approvare ai consigli comunali la richiesta al Parlamento di una legge che metta al bando i Pfas. A Padova il professore Carlo Foresta, già ordinario di Endocrinologia alla facoltà di Medicina, lancia un progetto sperimentale per verificare l’utilizzo del carbone vegetale quale mezzo per l’espulsione dall’organismo delle sostanze.
“METTERE AL BANDO I PFAS”. Le “Mamme No Pfas” si rivolgono ai sindaci di Veneto, Lombardia e Piemonte, le Regioni che risentono dell’inquinamento, anche se in maniera diversa. “È la zona più compromessa d’Europa” dichiarano. Dal 2013 decine di comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova si trovano ad affrontare i problemi posti dagli acquedotti alimentati dalla falda inquinata, a causa degli sversamenti dell’azienda Miteni di Trissino (una quindicina di manager sono sotto processo). In provincia di Alessandria è sotto osservazione uno stabilimento a Spinetta Marengo. La Lombardia è attraversata dal Po, dove sono state trovate importanti concentrazioni di Pfas, la cui provenienza è ignota. Le sigle che firmano la richiesta sono numerose: Legambiente, Cillsa, Isde, Italia Nostra, Anemos, Il mondo di Irene. Scrivono: “Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutte le forze politiche di tutti i Comuni, indipendentemente dall’appartenenza politica per sollecitare il Parlamento Italiano a emanare una legge che metta subito al bando queste micidiali sostanze che stanno mettendo a repentaglio la salute dei nostri figli e il futuro delle giovani generazioni”. Dovrebbe essere una legge basata sui principi di prevenzione e precauzione.
I SETTE PRINCIPI. La richiesta ruota attorno a sette punti. Innanzitutto vietare in modo tassativo la produzione e l’impiego industriale di Pfas, mappando le aziende che li utilizzano. In secondo luogo, avviare le bonifiche delle aree contaminate, destinando risorse per riparare, ove possibile, i danni. Il terzo punto riguarda lo “zero virtuale” da raggiungere con controlli e interventi per le acque destinate all’uso potabile, all’irrigazione o che alimentano i pozzi privati. La quarta sfida è quella del monitoraggio degli alimenti, dove la presenza di Pfas deriva dall’uso dell’acqua di falda in agricoltura o zootecnia. C’è poi l’aspetto sanitario dello screening gratuito della popolazione. Altri punti riguardano le valutazioni di impatto ambientale che dovrebbero prevedere limiti zero per l’emissione di composti Pfas e i controlli sulle aziende produttrici. Lo scenario strategico (ultimo punto) punta a finanziare la transizione a una economia e industria chimica sostenibile e toxic-free.
“UNA SPERANZA DAI CARBONI ATTIVI”. Il professor Carlo Foresta dell’Università di Padova ha illustrato in un convegno lo stato delle ricerche e annunciato un progetto sperimentale. “Negli ultimi anni abbiamo evidenziato numerosi fattori di rischio – ha spiegato l’endocrinologo – dalle patologie cardiovascolari all’infertilità, dall’osteoporosi all’ipotiroidismo, fino alle alterazioni del sistema nervoso. Senza dimenticare che recentemente l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha inserito il Pfoa, il più diffuso composto della famiglia dei Pfas, nella lista delle sostanze cancerogene per il tumore al rene e testicolo”. La ricerca di Foresta è stata condotta assieme all’equipe del professor Alberto Ferlin. Parte dalla considerazione che l’inquinamento generale da Pfas “non è facilmente modificabile dal comportamento dei singoli, né è possibile immaginare un’abolizione a breve termine di queste sostanze chimiche”. È così che sono state ipotizzate forme di intervento “basate su un’intuizione sperimentale ispirata all’attuale tecnologia di filtraggio delle acque, basata sull’utilizzo dei filtri ai carboni attivi, che ha portato all’individuazione di un corrispettivo terapeutico nel carbone attivo vegetale ad uso umano, che trova già impiego nel trattamento di intossicazioni da farmaci e avvelenamenti alimentari, nonché per il meteorismo intestinale”. Qual è il meccanismo di intervento? “Abbiamo drenato a livello intestinale i Pfas, rendendoli eliminabili con le feci. In un modello sperimentale l’incubazione con carbone attivo vegetale si è dimostrata in grado di rimuovere ben il 50 per cento del Pfoa”. Sulla base di questi risultati la Regione Veneto ha finanziato un progetto più complesso che vuole verificare la possibilità di operare la riduzione dei Pfas dal sangue dei soggetti esposti all’inquinamento”. Si attendono i risultati non prima di sei mesi.