Cinema

A Cannes non siamo premiati da più di vent’anni: chiediamoci il perché di questo baratro

Sono dodici i film italiani che si sono aggiudicati la Palma d’Oro al Festival di Cannes, da quando esiste, nel 1939. Se quest’anno vincesse Paolo Sorrentino con Partenope arriveremmo a 13. E sarebbe un bel colpo, visto che l’ultima volta che l’Italia vinse fu nel 2001 con La stanza del figlio di Nanni Moretti: 23 anni fa!

Ma, se andiamo indietro rispetto al premio a Moretti, dobbiamo risalire al 1978 con L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (46 anni fa), mentre dal 1946 al 1977 i riconoscimenti fioccavano (10 film): 1946 Roma Città aperta di Roberto Rossellini; 1951 Miracolo a Milano di Vittorio De Sica; 1952 Due soldi di speranza di Renato Castellani, 1960 La dolce vita di Federico Fellini; 1963 Il Gattopardo di Luchino Visconti; 1966 Signore & signori di Pietro Germi; 1967 Blow-Up di Michelangelo Antonioni; 1972 Il caso Mattei di Francesco Rosi; 1972 La classe operaia va in paradiso di Elio Petri; 1977 Padre padrone di Paolo e Vittorio Taviani (tutti registi passati a miglior vita).

Sarà un caso se i premi della Croisette sono tutti concentrati in 32 anni (1965-1978), poi c’è un baratro di 23 anni fino al 2001 e successivamente nessun riconoscimento? Forse dovremmo tentare di comprendere con un po’ di autocritica e maggiore profondità di campo il perché. Servono a poco i trionfalismi vuoti di significato sul risveglio del cinema italiano. Perché i nostri film all’estero non piacciono più come mezzo secolo fa e ancora prima?

Questi dati li ha utilmente forniti una recentissima (2024) statistica di Preply, piattaforma online per imparare le lingue, anche con lo scopo di promuovere la visione dei film stranieri in lingua originale, altro enorme problema quasi tutto italiano, senza nulla togliere ai nostri doppiatori fra i migliori al mondo. Un problema solo in parte contrastato da sale d’essai che offrono versioni originali con sottotitoli. Il fatto è culturale, certo, ma anche dovuto alla scarsa predisposizione per le lingue degli italiani. E stendo un velo pietoso sull’uso della presa diretta in buona parte delle fiction nostrane.

Preply non si limita a Cannes. A Berlino non è andata meglio per l’Italia (7 Orso d’oro, dei quali 4 dal 1961 al 1972, in 11 anni, e solo tre dal 1991 al 2016, in 25 anni). Solo nel 2016, infatti, il premio va a un film italiano: Fuocoammare di Gianfranco Rosi. Tutti gli Orso d’oro precedenti sono andati a pellicole di grandi Maestri oggi defunti (del calibro di Antonioni, Polidoro, De Sica, Pasolini, Ferreri e Paolo e Vittorio Taviani, nel 2012, quando erano già ultraottantenni, con lo splendido Cesare non deve morire). E Locarno? Undici Pardo d’oro dal 1948 al 1982, ma poi si dovrà attendere fino al 2001 (Alla rivoluzione sulla due cavalli di Maurizio Sciarra) e al 2004 (Private di Saverio Costanzo).

La ricerca, infine, analizza regione per regione la provenienza dei registi premiati ai tre Festival (più quello di San Sebastian che qui non cito, ma il succo non cambia). Sull’interesse concreto di questa parte della ricerca, mi sento di avere qualche perplessità: sarebbe stato forse più utile analizzare le provenienze geografiche delle case di produzione per capire quali sono le regioni più attive (e premiate) quanto a film (anche se non c’è bisogno di una statistica per osservare il monopolio romanocentrico…). Tant’è, giusto per curiosità, mi limiterò a fornire un dato: profondo sud e isole, quanto a luoghi di nascita dei registi omaggiati nei quattro Festival, sono praticamente a zero.

Forse siamo più apprezzati in America: l’Italia, con 14 statuette, è il paese che ha vinto più Oscar per i film in lingua non inglese, anche se sono ormai passati dieci anni dalla vittoria de La grande bellezza di Sorrentino. In particolare i film italiani hanno ottenuto dieci statuette per il miglior film straniero, tre per altri meriti, mentre le nomination ammontano a 27. Dopo di noi c’è la Francia, che ne ha vinti 12 ma che ha avuto 36 nomination.

Detto ciò, non penso affatto che vincere a Cannes o a Hollywood determini automaticamente la qualità di un film e neppure che chi non sia mai stato premiato sia un regista di serie B (Alfred Hitchcock, Orson Welles, Robert Altman, Sidney Lumet, Howard Hawks, Charlie Chaplin e molti maestri italiani come Sergio Leone, Mario Monicelli o Dino Risi non hanno mai preso un Oscar). E molti maestri italiani non sono mai stati premiati nei tre festival citati.

Chi sono oggi gli eredi dei nostri grandi maestri (fra i quali Marco Bellocchio ancora attivo)? Mi sento di affermare che sono pochi: certamente Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, solo per citarne un paio. Più, naturalmente – ne sono certo – tanti giovani film maker che non si conoscono, o si conoscono poco, semplicemente perché le loro opere non vengono distribuite o sono relegate in circuiti minori. Magari ragazzi usciti dal Centro Sperimentale di Cinematografia, pieni di buone intenzioni, ma che vengono umiliati (“o così o niente”) con la direzione di pessime fiction tv. O, peggio, vengono del tutto ignorati dai circuiti vincenti.