Si discute molto in questi giorni del bradisisma ai Campi Flegrei, che ha subito un’impennata nella velocità di sollevamento, arrivata a circa 2 cm/mese (la velocità media finora era stata di circa 1 cm/mese), dopo aver toccato per alcune settimane i 3 cm/mese. Associata a tali alte velocità, come previsto, è aumentata anche la sismicità, che ormai è praticamente continua nell’area anche se la popolazione avverte soltanto gli eventi più forti.
Dell’assoluta urgenza di controllare e mettere in sicurezza gli edifici (o di evacuarli se fatiscenti), cosa peraltro prevista dalla specifica legge varata (ma non ancora effettuata, o perlomeno non completamente) abbiamo già parlato su questo blog. La legge citata venne varata (come dl, poi convertito in legge) in tempi record già il 12 ottobre scorso, dopo le forti scosse del 27 settembre (M=4.2) e 2 ottobre (M=4.0), avvenute poco dopo una mia missiva al Prefetto di Napoli del 18 settembre 2023, in cui facevo presente l’altissimo rischio sismico, imminente, e suggerivo di ordinare la verifica a tappeto della vulnerabilità di tutti gli edifici nella zona a massima pericolosità: nel raggio di almeno un paio di km da Agnano-Solfatara-Pisciarelli. Suggerivo anche, cautelativamente, di evacuare temporaneamente quell’area mentre si verificavano gli edifici, per evitare che edifici particolarmente fatiscenti rimanessero esposti a possibili forti terremoti.
Ma già nel 2018, quando la sismicità era ad un livello bassissimo, avevo avvisato i vertici del mio Istituto che, perdurando il sollevamento, la sismicità sarebbe significativamente aumentata, in frequenza e magnitudo; e, quando il livello del suolo fosse divenuto simile o maggiore a quello massimo raggiunto nel 1984, la sismicità sarebbe divenuta anche maggiore di quel periodo (come spiegato più avanti, nel 1984 fu evacuata l’intera città di Pozzuoli, per i terremoti continui e soprattutto per il timore di un’eruzione imminente). Chiesi a loro, reiterando la richiesta ad aprile 2022 quando già cominciavano ad avvenire terremoti con magnitudo più alte, di avvisare le autorità nazionali e locali per preparare il territorio e gli stessi cittadini.
Ci sono stati quindi quasi sei anni per preparare il territorio: verificare la resistenza degli edifici, informare i cittadini, programmare la risposta alle verosimili emergenze. Quanto è preparato il territorio, a quasi sei anni dai primi avvisi e sette mesi dopo l’emanazione della legge sui Campi Flegrei? Ieri è avvenuto uno sciame sismico notevolissimo, con il terremoto più forte mai registrato ai Campi Flegrei (magnitudo 4.4, ore 20:10), che ha gettato nel caos la popolazione ed i servizi: migliaia di persone impaurite in strada, fermate le ferrovie locali (Cumana e Metropolitana L2) per possibili danni ai binari, centinaia di persone evacuate in emergenza da edifici gravemente lesionati, scuole chiuse il giorno dopo, tende installate in emergenza per strada. In coda al terremoto più forte, altri due eventi con magnitudo maggiore di 3: 3.9 e 3.1.
Parliamo allora dell’ipotesi peggiore, ossia dell’eventualità di una eruzione nell’area. Recentemente, si dibatte molto, sui media, della possibilità che il magma sia risalito dal serbatoio principale verso profondità superficiali (fino a 3.0-5.0 km). Diciamo innanzitutto che la profondità della parte superiore della camera magmatica principale, 7.5-8.0 km, è stata determinata negli anni 2000, in maniera molto precisa con la migliore tecnica basata sull’analisi delle riflessioni delle onde sismiche generate da scoppi (simile alle tecniche ecografiche e tomografiche usate in medicina); tecnica detta di ‘sismica attiva a riflessione’ non a caso utilizzata per localizzare i giacimenti di petrolio e di gas.
Altre tecniche tomografiche, basate sulle onde sismiche ‘dirette’ (ossia quelle che attraversano i volumi di roccia, non quelle riflesse dalle discontinuità) dei terremoti locali, possono essere usate per studiare le anomalie di velocità delle onde sismiche nella crosta: ad esempio, se le onde sismiche attraversano zone magmatiche, ossia contenenti ‘liquidi’, sia le onde P che le S sono rallentate, e le S molto più delle P.
Queste tecniche (dette di ‘sismica passiva’ perché non utilizzano scoppi ma sorgenti naturali come i terremoti), però, sono molto più ‘incerte’ (in gergo tecnico hanno ‘bassa risoluzione’), prima di tutto perché le localizzazioni dei terremoti non sono note a priori, ma devono essere determinate dai tempi di arrivo delle onde sismiche alle varie stazioni, congiuntamente alle velocità delle onde sismiche nel volume attraversato. Inoltre, le zone realmente ‘illuminate’ dai raggi sismici dipendono appunto dalle localizzazioni dei terremoti, e, ad esempio, al di sotto delle massime profondità di essi non si può vedere nulla perché non passa alcun raggio sismico. Ai Campi Flegrei, sono pochissimi i terremoti con profondità maggiore di 3 km; quindi, al di sotto di tale profondità la risoluzione è pressoché nulla e qualunque anomalia risultasse potrebbe essere un artefatto del metodo.
Ai Campi Flegrei, però, già dai primi anni 2000 sono in funzione stazioni sismiche moderne dette a ‘larga banda’, che finora non hanno mai rilevato i tipici segnali sismici, a bassissima frequenza, generati dal magma che risale nelle fratture e nei condotti. Il problema della gestione di un’emergenza mentre si cercano informazioni scientifiche non già disponibili è però molto più generale, come ha ben dimostrato l’emergenza Covid-19: perché la ricerca scientifica si nutre di ipotesi ‘plausibili’, di cui la gran parte si dimostrano errate e solo quelle più valide vengono selezionate nel tempo e formano il bagaglio di conoscenze ‘robuste ed affidabili’ che chiamiamo ‘Scienza’.
Ma, appunto, per raggiungere ‘verità affidabili’ il metodo scientifico richiede tempo: anni o decenni, tempi non compatibili con decisioni da prendere in emergenza. Così, la popolazione flegrea è spesso frastornata e confusa dalle ipotesi più disparate, molto spesso contrastanti l’una con le altre, che appaiono di volta in volta sulle riviste scientifiche e sono immediatamente rilanciate dai media come fossero ‘verità assoluta’.
Un’altra questione importante riguarda la possibilità di previsione delle eruzioni, che in genere si dà per scontata ma non lo è. In realtà, anche le (poche) esperienze riuscite di evacuazione per proteggere popolazioni da eventi eruttivi, non sono state effettuate a fronte di semplici ‘previsioni’ di eruzione, ma bensì in seguito alle prime manifestazioni eruttive, prevedendo semmai l’evoluzione successiva dei fenomeni. Anche l’esempio più noto e più celebrato, ossia l’evacuazione in relazione all’eruzione del Pinatubo (Filippine) del 1991, fu ordinata alcuni giorni dopo l’inizio di un’eruzione freatica, e fu poi continuata in modo ‘progressivo’, ossia evacuando zone via via più lontane dalla zona craterica man mano che si notavano segnali di aumento dell’intensità dell’eruzione.
Ai Campi Flegrei, quindi, appare logico programmare e rendere fattibile una eventuale evacuazione anche ad eruzione iniziata, partendo dall’area considerata più a rischio. In realtà, possiamo già identificare l’area che genera la maggior quantità di terremoti con le più alte magnitudo, nonché la più alta intensità di emissioni fumaroliche, come l’area a più alto rischio di apertura di future bocche eruttive. In quest’area, peraltro, c’è la più alta pericolosità sismica e la popolazione è fortemente stressata per i continui terremoti, qui più forti e vicini agli edifici, quindi estremamente risentiti.
Nel 1984, al culmine del precedente episodio di bradisisma (ma oggi il suolo è oltre 30 cm più in alto di allora, e quindi verosimilmente anche la pressione interna), si evacuò preventivamente l’intera cittadina di Pozzuoli (40.000 persone) principalmente per il rischio di un’eruzione imminente (che poi non ci fu), ma anche per le continue scosse sismiche che stressavano la popolazione e mettevano a forte rischio la stabilità degli edifici: esattamente come accade oggi.
Una tecnica di evacuazione progressiva ai Campi Flegrei eviterebbe praticamente tutte le difficoltà ipotizzabili con un’unica, massiccia evacuazione contemporanea di 500-600 mila persone (tante abitano l’attuale ‘zona rossa’).