I classici sono opere immortali? Ma nemmeno per sogno. Contrariamente alla vulgata comune, un nuovo libro dello storico dell’arte Luca Nannipieri (Che cosa sono i classici, ed. Skira Arte, 136 pagg., 20 euro) mette a fuoco come l’universalità e l’immortalità siano due grandi equivoci intorno alle opere degli uomini. Il volume è in uscita il 24 maggio ed è in programma una serie di conferenze a Tivoli, Pisa, Pietrasanta, Vercelli, Biella, Firenze, Bassano Del Grappa, Massa.
Confrontandosi con il pensiero di alcuni tra coloro che hanno riflettuto sulla durevolezza o meno del segno umano, da Eraclito a Oscar Wilde, da Walter Benjamin a Umberto Eco, e spaziando in varie categorie d’espressione, dall’arte alla letteratura, dall’architettura alla moda, dalla cucina alla toponomastica, il saggio documenta come cercare segni universali e atemporali sia un bisogno congenito nell’uomo: ma la storia, il trascorrere delle epoche, la diversità dei popoli, delle culture, delle tradizioni, dei conflitti, degli interessi non permettono l’invarianza di tali segni, che infatti mutano: le statue dell’antichità, ad esempio, che oggi si considerano classiche e imperiture, dalla Venere di Milo al Laocoonte, alla Grande Sfinge egizia di Giza, hanno passato secoli sottoterra o sepolte dalla polvere, prima di essere riscoperte. Il Partenone di Atene ha mutato costantemente le sue forme nei secoli, divenendo tempio, chiesa, moschea, magazzino, rovina, spazio musealizzato.
Luca Nannipieri, scrittore, tra le altre cose ha pubblicato con Rizzoli Candore immortale (2022), A cosa serve la storia dell’arte con Skira (2021), ha collaborato con Panorama, Il Giornale e le edizioni emiliana e toscana del Corriere della Sera, ha curato e presentato rubriche d’arte in Rai e Mediaset.
Ilfattoquotidiano.it pubblica qui una breve anticipazione della nuova uscita
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Noi pensiamo che la Gioconda di Leonardo da Vinci (1452-1519) sia imperitura. Pensiamo che, su di essa, mai si oscurerà il sole perché reputata opera imprescindibile, intramontabile. In realtà, così come su tutte le altre opere umane, il tempo getterà ombre, polvere, discredito, indifferenza, danno. Anche su questo dipinto, giudicato oggi come l’emblema stesso del genio umano, il tempo avrà la sua insolente e annichilente egemonia, e la Monna Lisa subirà seppellimenti, oblii, giacenze.
La Gioconda non rimarrà la Gioconda a prescindere dai secoli e da chi la guarderà. Il suo valore non è permanente, non è indipendente dai tempi. La Gioconda è la Gioconda, così come una cattedrale è una cattedrale, fintanto – ripetiamolo: fintanto! – che una collettività, una comunità, un popolo, dunque una certa parte d’umanità, attribuiranno a questa opera determinati significati e fecondità. Quando il suo valore non verrà più avvertito dalle persone, passato il momento inerziale di accondiscendenza passiva verso l’icona, il dipinto di Leonardo tornerà a essere un’opera mortale, dimenticabile, distruggibile, esattamente come le altre opere trasformate, sviluppate o distrutte della storia.
Questa dominazione del tempo, della geografia, sembra dirci: non esiste un valore immutabile, statico. L’intangibilità non appartiene alla produzione umana. Il fatto però che non esista un valore invariabile, inalterabile, non vuol dire che ogni opera abbia la stessa pregnanza delle altre, che vi sia un livellamento indifferenziato. Per quanto mutevole sia la consistenza, sicuramente, a distanza di secoli, la Monna Lisa ha avuto più incidenza delle azioni compiute dai vari fratellastri e sorellastre di Leonardo, di cui, finora, è difficile rintracciare perfino le notizie biografiche, se non le date di nascita, gli stessi nomi. Dunque non esistono valori saldi, ma soltanto provvisorie gerarchie, gradazioni che si codificano nei programmi e negli indirizzi delle scuole, nelle università, nelle accademie, nei centri di informazione e divulgazione, e sono destinate – fortunatamente – a essere trasformate, rivisitate, riviste o anche contraddette.
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Foto in alto | La folla di turisti fotografano (da lontano a causa della ressa) la Gioconda al museo del Louvre (crediti Bramfab/Wikipedia)