Viene considerato uno dei corridoi marittimi più pericolosi dell’Asia-Pacifico. Non è lo Stretto di Taiwan, bensì del mar Cinese meridionale dove da decenni Cina, Vietnam, Filippine e vicini rivieraschi si contendono isole e scogli disabitati. Arcipelaghi posizionati lungo lucrose rotte commerciali e fondali ricchi di risorse naturali sono al centro di un’annosa disputa che da qualche tempo vede sempre più coinvolti anche gli Stati Uniti. Legato ai rivali di Pechino da alleanze militari, Washington guarda con preoccupazione all’espansione muscolare della Cina, che dal 2013 a oggi ha fortificato almeno tre delle isole contese con sistemi missilistici, radar, e piste di atterraggio. L’installazione di reattori nucleari galleggianti potrebbe presto aggiungere un altro fattore di instabilità in un’area dove le tensioni geopolitiche rischiano di sfociare in uno scontro a fuoco ormai quasi quotidianamente.
E’ dal 2010 che Pechino lavora per posizionare nel mar Cinese meridionale una ventina di reattori con lo scopo conclamato di fornire energia per sostenere lo sviluppo commerciale, l’esplorazione petrolifera e la desalinizzazione dell’acqua marina nelle acque contese. Stando a un rapporto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, il primo dispositivo potrebbe essere pronto entro fine anno.
Ancora in fase di sperimentazione, la nuova tecnologia si propone di rivoluzionare il comparto delle rinnovabili, offrendo forniture energetiche stabili in aree remote. La mancanza di standard internazionali tuttavia ne rende l’impiego non privo di rischi. Senza contare che il dispiegamento in mare aumenta la vulnerabilità dei reattori ad attacchi militari e terroristici, sabotaggi, tsunami o altri eventi atmosferici estremi. Preoccupazione in questo caso rafforzate anche dalla non sempre impeccabile gestione degli impianti nucleari in Cina.
Sull’altra sponda dell’Oceano, sono però i timori geopolitici, non i dubbi scientifici, a prevalere. Per l’ammiraglio John Aquilino, ex capo del Comando Indo-Pacifico degli Stati Uniti, l’uso di centrali nucleari galleggianti potrebbe contribuire a rafforzare le rivendicazioni di Pechino sui territori marittimi disputati con i competitor regionali. Le isole, un tempo disabitate – secondo la stampa statale – ospitano ormai oltre 5mila persone tra “ufficiali e soldati di stanza”. Aumentando la disponibilità di energia, le autorità cinesi starebbero quindi innanzitutto creando le condizioni per un’espansione della popolazione locale. Ma non è escluso che prima o poi proveranno a spingersi oltre: ad esempio sfruttando la natura mobile dei reattori per occupare acque sotto la giurisdizione di altri paesi. Per non parlare del potenziale contributo delle centrali galleggianti al programma di sviluppo delle portaerei cinesi: Pechino ne ha già tre e la quarta sarà molto probabilmente a propulsione nucleare.
A complicare il quadro si aggiunge il coinvolgimento di Mosca, sempre più presente nella regione, dove da tempo conduce regolari esercitazioni militari con Pechino. Ad oggi la Russia è l’unico paese ad aver collaudato la controversa tecnologia: inaugurata nel dicembre 2019, la centrale Akademik Lomonosov, nel Čaunskij rajon, è alimentata da due turbine a vapore e due reattori KLT-40S collocati a bordo di rompighiaccio nucleari russi.
Nel 2014 Rosatom Overseas e la China National Nuclear Cooperazione (CNNC) New Energy hanno firmato un memorandum di intenti che prevede proprio una collaborazione specifica nello sviluppo di centrali galleggianti, affiancato tre anni fa da un accordo analogo con la società di costruzioni navali cinese Wison (Nantong) Heavy Industries per un progetto di impianti nucleari marittimi realizzati per alimentare il sito minerario di Baimsky, nel nord-est della Siberia.
Mentre l’energia atomica è da tempo al centro delle relazioni bilaterali, l’inizio della guerra in Ucraina sembra aver velocizzato le sinergie tra Cina e Russia. Non solo i due paesi stanno collaborando per portare l’atomica sulla Luna. Nel maggio 2021 è stata avviata la costruzione di quattro nuovi reattori avanzati, alimentati dalla tecnologia nucleare russa di terza generazione, nelle due centrali cinesi di Tianwan nel Jiangsu e in quella di Xudapu nel Liaoning. L’anno successivo, secondo Bloomberg, ingegneri russi avrebbero consegnato un enorme carico di materiale fissile sull’isola di Changbiao, a soli 220 chilometri dalla costa settentrionale di Taiwan, dove sorge il CFR-600, un tipo di reattore che alcuni analisti sostengono venga utilizzato per produrre plutonio e armi atomiche.
Va detto che, come in altri frangenti, anche sul nucleare l’”amicizia senza limiti” tra Pechino e Mosca presenta diverse ambiguità. Da anni infatti la Russia collabora con il Vietnam nell’esplorazione di gas nel mar Cinese meridionale, nella zona economica esclusiva di Hanoi contestata dalla Cina. Nell’ingarbugliata rete di rivendicazioni territoriali il controllo delle fonti energetiche è destinato a svolgere un ruolo sempre maggiore.