Politica

Premierato, battaglia in Parlamento: 3mila emendamenti. Pd, M5s e Avs: “Interverremo su tutti”. Capo dello Stato indebolito? Per Casellati “è una stanca litania”

I rischi di indebolimento della figura del presidente della Repubblica? “Una stanca litania“. L’ostruzionismo delle opposizioni? Uno “schiaffo”. Il premierato? “Riavvicinerà l’Italia alle grandi democrazie europee“, anche se questo specifico sistema istituzionale non esiste in nessuna “grande democrazia europea”. E’ il battesimo che la ministra Maria Elisabetta Alberti Casellati riserva in Aula al disegno di legge costituzionale sul premierato, sul quale il Senato si prepara all’esame degli emendamenti (circa 3mila) dopo la conclusione della discussione generale. “Interverremo tutti su ogni emendamento” hanno annunciato i capigruppo di Pd, M5s e Verdi-Sinistra Francesco Boccia, Stefano Patuanelli e Peppe De Cristofaro. “E l’opposizione – assicurano – sarà durissima”.

Casellati nel suo intervento in Aula ha garantito che non ci sono rischi di squilibrio tra poteri istituzionali – effetto che preoccupa di più la maggioranza dei giuristi – con la seguente spiegazione: “C’è un fraintendimento radicale – dice la ministra nell’emiciclo di Palazzo Madama – che riguarda il ruolo dei due presidenti, della Repubblica e del Consiglio, che si muovono su due piani diversi e non sovrapponibili nell’assetto costituzionale. Il presidente della Repubblica ha poteri di garanzia dei valori costituzionali e di rappresentanza dell’unità nazionale. La sua neutralità e la sua autorevolezza derivano dal fatto di non essere parte, ma di attingere la sua legittimazione, dai valori della Costituzione. Le sue prerogative non sono state toccate, anzi: alla nomina si sono aggiunti la revoca dei ministri e il potere solitario di firmare importanti atti che, nell’attuale sistema, condivideva con il governo. Il presidente del Consiglio ha invece poteri di indirizzo politico“. Casellati ammette che “la riforma limita le occasioni in cui il capo dello Stato, come ha osservato il professor Cassese, era costretto a dilatare ‘la fisarmonica’ dei suoi poteri, ogni qualvolta il sistema parlamentare andava in crisi. Io per prima riconosco i molti meriti dei nostri presidenti della Repubblica nel gestire con sapienza fasi critiche del nostro sistema politico. Ma il nostro compito è quello di evitare, come ricordava il presidente Napolitano, che quei momenti critici si ripetessero. Ed è per questo che la riforma introduce, per la prima volta, un’articolata regolamentazione di tutte le crisi di governo, definendo e disciplinando le soluzioni possibili”. Il punto che sfugge al ddl del governo, peraltro, è proprio che i “piani diversi e non sovrapponibili” sono proprio l’elemento in base al quale funziona il meccanismo del contrappeso tra poteri, che verrebbe colpito dall’inspessimento del peso specifico del capo del governo e il conseguente infragilimento del ruolo del presidente della Repubblica.

In precedenza era stato il capogruppo del Pd Francesco Boccia a fare un ultimo – velleitario – tentativo di riannodare i fili del dialogo tra maggioranza e opposizione. “Per evitare che i toni si trasformino in scontri – ha insistito -, chiediamo una capigruppo per capire dove stiamo andando, perché la maggioranza ha deciso di disertare il confronto. La leggiamo come la volontà del governo di andare avanti a testa bassa. Noi abbiamo detto ‘fermatevi’, la volontà di confrontarci da parte nostra c’è”. Dall’altra parte però Casellati ha risposto che dalle opposizioni “sono stati alzati muri ideologici, per di più contraddittori”.

Al termine dell’intervento della ministra il Pd con il senatore Andrea Giorgis (costituzionalista) ha proposto di non passare all’esame degli articoli, annullando anche il lavoro fatto fin qui in commissione. Una richiesta sostenuta anche da M5s e Verdi-Sinistra ma respinta dall’Aula con 93 voti contrari (i favorevoli sono stati 56 con 5 astenuti). “Erano anni – ha detto Giorgis nel suo intervento – che non si sentivano parole di tanta demagogia e antiparlamentarismo. Ma è lo spirito del tempo, ed è lo spirto che anima questo governo e questa maggioranza”. Quello in discussione è un “progetto accentratore e illiberale” dice Anna Rossomando, vicepresidente del Senato, democratica. “È in corso uno scambio all’interno della maggioranza sulle tre riforme istituzionali: autonomia differenziata, premierato e giustizia – sottolinea – Un approccio non solo censurabile nel metodo, ma un combinato disposto che comporta un vero e proprio scardinamento dell’architettura della nostra Costituzione. Non siamo di fronte a delle riforme della Costituzione, ma a una riscrittura, anche della storia che ha condotto alla Carta costituzionale; la dialettica tra poteri dello Stato viene sostituita con il cosiddetto ‘premier pigliatutto‘, un capo affidatario”.

Più collaborativa, come d’abitudine in caso di bisogno della destra, Italia Viva. Enrico Borghi, capogruppo al Senato, la butta più sul tecnico: “Sfidiamo la maggioranza rispetto alla sua buona fede nel perseguire le riforme costituzionali: con questo ordine del giorno, chiediamo che l’esame finale della riforma debba essere subordinata alla discussione e all’approvazione della legge elettorale. Nel testo c’è l’elemento maggioritario con il meccanismo del premio, e quindi è inevitabile capire che tipo di legge elettorale avremo”. E resta un punto che è lo spettro che non ha mai abbandonato Matteo Renzi: “Serve parlare anche della rottura del bicameralismo perfetto, perché diversamente il testo che ci viene presentato apparentemente andrebbe a rafforzare il primo ministro, ma in realtà costruisce una ragnatela in cui il premier eletto resterebbe imprigionato dal bicameralismo perfetto e dal diritto di fronda, con l’introduzione del secondo premier, oltre a quello eletto. Non ci vuole molto a capire cosa accadrebbe: il presidente del Consiglio eletto rischierebbe di essere disarcionato dal suo vice”.

In Aula oggi ha parlato il senatore a vita Mario Monti che – come Liliana Segre nella seduta precedente – si è detto contrario, anche se con argomentazioni abbastanza diverse. “Condivido due obiettivi del ddl – dice l’ex premier – La maggior governabilità e maggiore stabilità, ma sono contrario alla proposta presentata perché credo che sia controproducente rispetto agli obiettivi stessi”. Il disegno di legge , ha proseguito, “renderebbe impossibili i governi di larga collaborazione. Ci sarà pure un motivo se il Parlamento e non i sondaggi dei giornali dei poteri forti abbia approvato governi come il mio, per superare la crisi finanziaria, o quello di Giulio Andreotti nel 1978 per combattere il terrorismo e quello di Mario Draghi, per debellare il Covid“. “Che cosa avrebbe fatto in quel momento – si è domandato Monti – un premier di parte? Con un presidente della Repubblica che non potrebbe nemmeno esortare all’unità, e un secondo premier vincolato al programma di anni prima. Si può presentare una riforma così in una fase con l’Europa che rischia una guerra, l’Italia che rischia una lotta sociale se continuerà la caduta del salario reale. Proporrei di guardare avanti e chiederei a chi ha più sensibilità politica di me, e a quanti ritengono che il premierato riavvicinerebbe i cittadini. Ritengo che sarebbe un drammatico errore di prospettiva. I politici riscuotono oggi sospetto. I cittadini vi vedranno in questa riforma il tentativo di chiudere ogni varco alla società civile di dare il proprio contributo per risolvere i problemi del Paese”. L’avviso di Monti, insomma, è che “quello che viene pensato per avvicinare i cittadini non venga intesa come un chiusura. In più non è più il tempo dell’uomo solo al comando, lo vediamo per esempio in Macron, amato e detestato: ha impiegato 6 anni per una riforma delle pensioni e ha avuto spargimenti di sangue. Non è più il tempo. Abbiamo un sistema più duttile, lo vogliamo buttare via?”.

E però a confermare le sue critiche è soprattutto Marcello Pera, ex presidente del Senato, rieletto nel 2022 a Palazzo Madama proprio con Fratelli d’Italia. Il premierato non è un sistema da “tribù preistorica” – dice in Aula Pera rispondendo indirettamente all’intervento di Segre – e tuttavia il ddl Casellati “è difettoso” con una serie di “incongruenze” che non possono essere rinviate alla legge elettorale. Pera da una parte ha ricordato il sistema del premierato inglese in cui il “prime minister” dura in carica i cinque anni della legislatura ed ha il potere di sciogliere le Camere (prima delle ultime legislature con i continui cambi di governo) ed ha commentato, con un riferimento a quanto aveva affermato Liliana Segre la scorsa settimana: “Altro che capo di una tribù primitiva, altro che legge Acerbo, altro che capocrazia, ignoranza da primo anno di giurisprudenza”. “Ricordo questa storia – ha insistito – per dire che il premierato non è il regime del capo della tribù, ma una forma di governo democratica. Sono perciò stupito dall’opposizione. Il Pd dimentica la sua storia recente, perché i socialisti riformisti hanno elaborato buoni progetti di premierato, da quello di Cesare Salvi in poi”.

Poi Pera è entrato nel merito del testo: “Restano problemi? Sì, restano. Se dovessi riassumere le mie obiezioni – oltre alla fiducia iniziale da togliere, ai contrappesi da aumentare, allo Statuto dell’opposizione da introdurre che però l’opposizione non vuole – direi questo: il progetto del governo prevede che il presidente del consiglio sia eletto direttamente ma non dice come. Tutto è demandato ad una legge elettorale, e io ho seri dubbi che una legge elettorale, da sé sola, senza previsioni costituzionali, possa risolvere il problema del voto estero, del possibile diverso esito elettorale Camera-Senato, della divisione dei poli politici in tre anziché in due, della soglia per ottenere il premio. Questo vuol dire che si deve ancora lavorare. Ci sono punti da correggere affinché la riforma non abbia difetti di costituzionalità. Auspico che lo dicano anche il relatore e il ministro delle riforme, perché se i problemi ci sono, è inutile nasconderli. Così come è inutile evocare la tribù preistorica. Dobbiamo fare una buona riforma, e se dobbiamo, allora possiamo”. Va da sé che né Casellati né il relatore Alberto Balboni (Fdi) hanno parlato di difetti. “Il testo non è chiuso – ha detto ancora Pera -. Si potrà cambiare in questa Aula? Temo di no, ma occorre poi lavorarci, altrimenti rischia seri problemi di costituzionalità”. Pera insomma dà per implicita una modifica alla Camera, il che allungherebbe ulteriormente l’approvazione eventuale della legge, quasi a ridosso della fine della legislatura.