Il generale dei Carabinieri Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde (i servizi segreti civili), è indagato a Firenze nel fascicolo sulle presunte complicità esterne delle stragi mafiose del 1993. A renderlo noto è lui stesso con un comunicato: “Nel giorno del mio 85esimo compleanno ho ricevuto dalla Procura della Repubblica di Firenze un avviso di garanzia con invito a comparire per essere interrogato in qualità di indagato per i reati di strage, associazione mafiosa e associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico. L’atto istruttorio”, specifica la nota, “è stato fissato per il prossimo 23 maggio ma verosimilmente verrà rinviato, poiché il mio difensore ha comunicato di non poter essere presente”. A causa di un impegno pregresso dell’avvocato Basilio Milio, infatti, il generale ha chiesto il rinvio ad altra data del faccia a faccia col procuratore Filippo Spiezia, gli aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco e il sostituto Lorenzo Gestri. L’indagine in corso nel capoluogo toscano ha l’obiettivo di individuare i presunti ispiratori politici delle bombe mafiose di via dei Georgofili a Firenze, via Palestro a Milano e san Giovanni in Laterano e san Giorgio al Velabro nella Capitale. Nel procedimento, già archiviato e riaperto più volte, è indagato il fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e, fino alla sua morte, lo era anche l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: l’ipotesi dei pm è che le stragi servissero a diffondere il panico nella popolazione, indebolendo il governo guidato da Carlo Azeglio Ciampi e favorendo la nascita del progetto politico dell’uomo di Arcore e del suo braccio destro.
In questo contesto, nel capo d’accusa redatto dai pm fiorentini si legge che Mori, “pur avendone l’obbligo giuridico, non impediva, mediante doverose segnalazioni e/o denunce all’autorità giudiziaria, ovvero con l’adozione di autonome iniziative investigative e/o preventive, gli eventi stragisti di cui aveva avuto plurime anticipazioni” poi verificatisi a Firenze, Roma e Milano, nonché il fallito attentato allo stadio Olimpico. In particolare, secondo l’accusa Mori era stato “informato, dapprima nell’agosto 1992, dal maresciallo Roberto Tempesta, del proposito di Cosa nostra, veicolatogli dalla fonte Paolo Bellini, di attentare al patrimonio storico, artistico e monumentale della Nazione e, in particolare, alla torre di Pisa” e, qualche tempo dopo, anche dal pentito Angelo Siino “durante il colloquio investigativo intercorso a Carinola il 25 giugno 1993, il quale gli aveva espressamente comunicato che vi sarebbero stati attentati al Nord”. Mori è stato già imputato e assolto in via definitiva (dopo una condanna a 12 anni in primo grado) nel processo sulla Trattativa Stato-mafia, in cui era accusato di violenza e minaccia a un corpo politico dello Stato per aver trasmesso (insieme agli alti ufficiali Giuseppe De Donno e Antonio Subranni) ai governi in carica la minaccia di Cosa nostra: altre stragi e altri omicidi eccellenti se non fossero state allegerite le condizioni carcerarie dei detenuti appartenenti ai clan. L’ex capo del Ros è stato assolto con sentenza passata in giudicato anche in due processi in cui era imputato di favoreggiamento a due boss mafiosi: quello sulla ritardata perquisizione del covo di Totò Riina dopo il suo arresto nel 1993 e quello sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995.
“Quelle a mio carico, com’è agevole a tutti comprendere, sono accuse surreali e risibili se tutto ciò non fosse finalizzato alla gogna morale che sarò costretto a subire ancora per chissà quanti anni”, commenta il generale a proposito dell’indagine di Firenze. “Dopo una violenta persecuzione giudiziaria che mi ha visto imputato in ben tre processi, nei quali sono stato sempre assolto, credevo di poter trascorrere in tranquillità quel poco che resta della mia vita. Ma devo constatare che, evidentemente, certi inquirenti continuano a proporre altri teoremi, non paghi di cinque pronunce assolutorie e nemmeno della recente sentenza della Suprema Corte che, nell’aprile scorso, ha sconfessato radicalmente le loro tesi definendole interpretazioni storiografiche“, attacca, in riferimento alle motivazioni della Cassazione sul processo Trattativa. “Sono profondamente disgustato da tali accuse che offendono, prima ancora della mia persona, i magistrati seri con cui ho proficuamente lavorato nel corso della mia carriera nel contrasto al terrorismo e alla mafia, su tutti Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Forse non mi si perdona di non aver fatto la loro tragica fine”, aggiunge. “Avendo constatato che il circo mediatico si è già messo in moto, precedendo con qualche giorno d’anticipo tale comunicazione giudiziaria, ed essendo fin troppo banale presagire che l’aggressione mediatica e giudiziaria proseguirà con ancor maggiore virulenza, mi sembra doveroso che sia io, e non altri, a informare le istituzioni e l’opinione pubblica. Dopodiché affronterò e supererò anche questa ennesima angheria”, conclude.