Nel mondo della ristorazione di lusso sta accadendo una piccola rivoluzione. Non più caviale, astice e aragoste: la tendenza degli chef stellati non è più quella di mettere nel piatto ingredienti pregiati e costosi. “Oggi il vero lusso è acquistare al contadino, che mette ancora le mani nella terra che non ha conosciuti pesticidi né chimica”, spiega – nel libro di Annalisa Cavaleri, Luxury Food. Le parole Chiave per strategie vincenti nell’enogastronomia di lusso (Franco Angeli) – Norbert Niederkofler, chef del ristorante Moessmer-Norbert Niederkofler, tre stelle Michelin e stella verde Michelin.

Il settore del lusso sta cambiando, a partire dal rapporto diretto con i produttori locali, retribuiti giustamente: chi raccoglie verdure, ma anche gli allevatori con animali che producono latte in maniera fisiologica e che solo a fine vita vengono abbattuti, all’interno di un ciclo circolare e senza sprechi.

Proprio lo spreco è un tema centrale nell’enogastronomia di lusso. Va eliminato, e questo lo si fa soprattutto, spiega sempre Norbert Niederkofler, “seguendo la natura, rispettando il ciclo della biodiversità. Ed è una grande fatica, si lavora un anno in anticipo per seguire le coltivazioni e capire quali ingredienti si avranno”. Sostenibilità dunque, ambientale, ma anche umana (e infatti il ristorante di Niederkofler resta chiuso domenica sera, lunedì e martedì).

Basta ostentazione e cibi rari, sì a territorio e sostenibilità

Insomma: in quello che Cavaleri chiama il settore del “Luxury food” le cose sono cambiate. Si evitano eccessi e ostentazioni, tipiche di un tempo, cibo raro e costoso, a favore di parole chiave nuove, territorio, sostenibilità, etica e rispetto. “Come la moda”, spiega Cavaleri, “anche il cibo di lusso inizia a percorre altre strade. Ricoprire di caviale d’allevamento, katsuobushi o tartufo un piatto, in ogni mese dell’anno, non significa proporre un’esperienza di lusso, ma di uniformazione, mentre riscoprire ingredienti locali, anche se semplici e poveri, può diventare un messaggio potente”.

Sempre più, la cucina diventa “plant based”, ovvero orientata al vegetale, che diventa “protagonista del piatto e non umile comprimario”. Alcuni esempi riportati nel libro? La rivoluzionaria insalata “21,31,41,51” di Enrico Crippa, che si presenta sotto forma di contenitore di vetro che trasforma l’insalata in una sorta di mazzo di fiori; la “Foglia di broccolo e anice” di Niko Romito, la Cipolla Caramellata con salsa al Grana Padano” di Davide Oldani, che parte da una semplice cipolla coltivata localmente per raccontare una nuova storia di gusto e sostenibilità; il piatto icona vegano “Cookpot” dello chef pluristellato Alain Ducasse: sette verdure di stagione cotte a fuoco lento in una pentola speciale, che lo chef ha fatto realizzare appositamente.

La stella verde Michelin, accessibile a tutti

La dimostrazione più chiara di questa trasformazione, che il libro analizza, è senz’altro la Guida Michelin. Infatti, dal 2020, è stata introdotta la “stella verde”, che dal 2020 premia i ristoranti che fanno della sostenibilità il punto focale del proprio business. Si tratta, spiega sempre Cavaleri, “di attività imprenditoriali all’avanguardia, che scelgono ingredienti di stagione e del territorio per azzerare il trasporto con mezzi a combustibili fossili, che lavorano per evitare sprechi e l’utilizzo della plastica”.

Più specificamente, i criteri per l’assegnazione della stella verde Michelin sono vari: uso di ingredienti locali e stagionali; qualità dei prodotti, compresa l’origine biologica, biodinamica ed etica; basso impatto energetico nell’uso delle risorse, composizione dei menu in chiave stagionale; iniziative per la riduzione e l’azzeramento dei rifiuti; comunicazione e passione mostrate dallo chef e dal personale sull’argomento; iniziative creative in campo ambientale; collaborazione con la comunità locale; formazione.

Orti in casa e stalle sostenibili

La riflessione sulla sostenibilità ha portato molti chef stellati a fare un ulteriore passo avanti e curare un proprio orto. Un esempio è lo chef Mauro Colagreco del ristorante Mirazur di Mentone, che ottiene quasi l’80% della frutta e verdura per rifornire il suo ristorante da sei orti. La coltivazione segue i principi della permacultura ed è effettuata con metodo biodinamico. Tra gli chef italiani più dediti alle “pratiche agricole” c’è sicuramente lo chef Enrico Crippa, del ristorante tre stelle Michelin e stella verde Piazza Duomo. A pochi chilometri da Alba, nel terreno della Tenuta Monsordo Bernardina, si trovano un orto e una grande serra. Qui vengono coltivati in regime biologico e biodinamico circa quattrocento varietà di ortaggi, le erbe e i fiori che lo chef ogni mattina raccoglie personalmente per i suoi piatti.

Tra i progetti dedicati alla sostenibilità c’è “Cook the Mountain” dello chef tre stelle e stella verde Michelin Norbert Niederkofler. Gli ingredienti sono rigorosamente a km zero e provenienti da piccoli produttori locali con cui lo chef instaura un rapporto personale. Sostenibilità non solo in montagna ma anche in città, con il ristorante Horto – stella e stella verde Michelin – che si trova nel cuore di Milano, a pochi passi dal Duomo. Qui la cucina di Niederkofler si basa sul concetto di “ora etica” per ridurre al minimo il trasporto di prodotti con mezzi che utilizzano combustibili fossili. Non si trovano, quindi, pesce di mare o materie prime di altre regioni.

In conclusione, dunque, si tratta di un cambiamento radicale rispetto all’immaginario tradizione dell’enogastronomia di lusso. Che resta sempre tale, cioè per pochi, ma che è positivamente più incentrata sul benessere, delle persone, degli animali, della terra stessa.

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