Fu condannata a 33 anni di reclusione di cui i primi tre da trascorrere in un manicomio criminale: si dimostrò gentile con tutti e continuò a infornare dolcetti che – come ricordò una suora del carcere –"nessuno si è mai azzardato a mangiare”
Attirava le donne sole del paese nel suo appartamento di Correggio con false promesse e poi le uccideva a colpi d’ascia e martello. Le sue vittime venivano poi bollite con la soda caustica per farne del sapone: non è la trama dell’ultimo film di Stephen King ma la storia di Leonarda Cianciulli, passata alla storia come “la saponificatrice di Correggio”. Il quotidiano “La Nuova Ferrara” ha pubblicato, pochi giorni fa, due sue foto, finora inedite, scattate l’8 luglio 1970, appena tre mesi prima che morisse. Sono contenute in uno dei numerosi fascicoli carcerari e clinici intestati alla Cianciulli, per un migliaio di carte complessive, ritrovati in 15 anni di lavoro dall’editore ferrarese Fausto Bassini. “Nella sua ultima immagine che ci resta, nonostante sia stata scattata nell’inferno di un manicomio criminale e nonostante l’infermità mentale fosse in lei davvero presente all’epoca (a differenza di 24 anni prima, quando al processo aveva con scaltrezza simulato la pazzia), appare paradossalmente serena, priva di sofferenza”. Così Bassini descrive le due fototessere in bianco e nero in cui la Cianciulli guarda l’obiettivo, si mette in posa e accenna persino un sorriso sul viso solcato da rughe profonde incorniciato da una chioma bianca.
Una nonnina, insomma, sebbene d’altri tempi, e a vederla sembra impossibile corrisponda all’implacabile assassina. Del resto, la Leonarda aveva guadagnato la fiducia di tutti anche nel piccolo paese emiliano dove si era trasferita da giovane. Ma chi era davvero questa dolce donnina esile accusata di aver raggirato e ucciso tre compaesane a scopo di rapina fra il 1939 e il 1940, nel suo appartamento, e distrutto i loro corpi per distruggerne traccia “mediante saponificazione”?
La saponificatrice di Correggio in realtà era campana. Nata a Montella 45 anni prima di diventare una terribile serial killer, Leonarda Vincenza Giuseppa Cianciulli da piccola aveva già tentato il suicidio perché convinta che sua madre la odiasse. Si rifiutò di sposare un cugino ma scelse come marito il potentino Raffaele Pansardi. Nel suo memoriale “Confessioni di un’anima amareggiata” scrisse che la madre il giorno delle nozze la maledisse e lei a questa maledizione attribuì la morte della sua prima figlia colpita dalla febbre spagnola che sterminò in Europa circa 10 milioni di persone. Fu solo il primo dei lutti: Leonarda rimase incinta 17 volte ma sopravvissero solo quattro figli perché dieci li perse da piccoli e tre per aborto spontaneo. “Tutto per colpa di quella maledizione”, lei scrisse. Quando sua figlia si ammalò per curarla andò da una maga di Avellino che le suggerì di strapparsi otto denti e gettarli in una stufa per guarirla. Nel 1930, la Cianciulli e suo marito si trasferirono a Correggio, dopo il terremoto del Vulture ma anche per sottrarsi alle voci che giravano a Montella dove Leonarda era già stata condannata due volte per truffa e rapina a mano armata, scontando poi la sua pena nelle carceri del potentino. A Correggio suo maritò trovò un impiego per poche lire e lei pensò bene di avviare il suo business di chiromanzia e astrologia. Eccentrica certo, e fervente fascista ma amata da tutti: a Correggio, la donna si era perfettamente integrata.
Le vittime
Tutte e tre le vittime della Cianciulli avevano dei tratti comuni: erano sole, benestanti e desiderose di rifarsi una vita. Faustina Setti fu la più anziana, a 73 anni fu tratta in inganno dalla terribile Leonarda che l’attirò con la promessa di averle trovato un marito a Pola: vedovo e benestante. In cambio, voleva una delega per gestire tutti i suoi beni e avrebbe dovuto darle anche tutti i suoi risparmi prima di trasferirsi nel mantovano con il futuro sposo. Faustina vendette tutto e andò quel giorno in via Cavour 11, a casa della sua amica, che le fracassò il cranio con un martello per poi sezionarne il corpo per mettersi subito al lavoro: “Spezzettai il corpo della mia amica in nove parti, gettai la testa e i piedi nel pentolone e rimescolai tutto finché non ottenni una poltiglia scura e viscosa”, scrisse la Cianciulli. Fece seccare il sangue della povera Faustina e ne fece dolcetti da offrire alle signore in paese. Stessa sorte per Francesca Clementina Soavi, commerciante di stoffe ed ex maestra di asilo uccisa a colpi d’ascia a cui Leonarda promise un lavoro a Piacenza facendosi carico di vendere tutte le sue cose. Giuseppe, il figlio di Leonarda, andò a Piacenza per spedire cartoline da parte della maestrina che intanto stava bene, o così credevano tutti. La terza vittima, Virginia Cacioppo, era un’ex soprano lirico. Nel 1940 aveva perso il marito, il figlio e anche la voce ma la sua buona amica Leonarda le trovò un lavoro a Firenze dove, combinazione, c’era anche un ricco vedovo ad attenderla. A Virginia come alle altre fu raccomandato di vendere tutto e non dire nulla a nessuno ma il patto fu infranto perché la cantante, prima di finire nel pentolone della Cianciulli, si confidò con un’amica. “Ne vennero fuori saponette cremose – sempre dal suo memoriale – anche i dolci furono migliori: quella donna era veramente dolce”. La cognata della cantante Albertina Fanti convinse la polizia a indagare su Leonarda evidenziando i legami della Cianciulli con le tre donne scomparse e dopo che decine di lettere anonime iniziarono a insinuare sospetti: scattò il fermo e la donna venne portata in questura.
Il processo
La Polizia scoprì che i titoli di Cacioppo erano stati venduti dal parroco di San Prospero Adelmo Frattini che disse di averli avuti da un produttore di formaggi che li ebbe a sua volta da Leonarda insieme a soldi e gioielli. Quando anche il figlio Giuseppe fu messo in stato di fermo perché sospettato Leonarda crollò e confessò tutto: dalla sua casa emersero dentiere e resti umani saponificati. Lei disse: “Non ho ucciso per odio ma solo per amore di madre”. Il suo figlio più grande, il suo prediletto Giuseppe, rischiava di andare al fronte e allora lei decise di compiere sacrifici umani in cambio della sua vita come le aveva suggerito sua madre in sogno, spiegò ai giudici. Mentre l’accusa sosteneva che avesse agito per avidità per il denaro delle sue vittime, lei giustificava i suoi delitti come un tributo di sangue alla memoria di sua madre “che altrimenti avrebbe preso i suoi figli”. Ma fece davvero tutto sa sola? La donna chiese di fare esperimenti davanti al giudice, in obitorio, per dimostrare che era in grado di smembrare un cadavere. Secondo l’accusa non ha ucciso da sola ma con un complice che sempre secondo l’accusa era suo figlio ma il giorno del verdetto lui fu assolto. “Dio sia benedetto, viva la legge” fu il commento della madre. Il 20 luglio del ’46 Leonarda Cianciulli venne ritenuta colpevole dei tre omicidi, di furto e vilipendio di cadaveri e condannata a 33 anni di reclusione di cui i primi tre da trascorrere in un manicomio criminale. Cianciulli morì per un ictus alle 2 di notte del 15 ottobre 1970 dopo quasi due giorni di coma, nel “manicomio giudiziario per donne” di Pozzuoli (Napoli), all’età di 77 anni dove stava continuando a scontare una condanna della Corte d’Assise di Reggio Emilia. Anche lì si dimostrò gentile con tutti e continuò a infornare dolcetti che – come ricordò una suora del carcere –“nessuno si è mai azzardato a mangiare”.